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Troppi morti nel blitz a Rio, tensione tra Lula e Castro

Brasile: l'operazione di polizia evidenzia il conflitto tra poteri dello Stato federale e quelli del Governatore in tema di ordine pubblico


di Jacopo Bottacchi


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A Rio de Janeiro, chi vuole entrare a far parte della polizia, deve scegliere: si corrompe, o rimane in silenzio, o va in guerra”. Con questa frase si concludeva la prima sequenza di Tropa de Elite-Gli squadroni dells morte, film brasiliano del 2007, diretto da José Padilha, trasformatosi immediatamente in un classico, anche grazie alla vittoria dell’Orso d’Oro come miglior film straniero alla Berlinale dell’anno successivo.

La pellicola, ambientata alla fine degli anni ‘90, raccontava la violenza urbana della città di Rio de Janeiro, ma soprattutto la “filosofia” e le operazioni del famigerato BOPE, il Battaglione delle Operazioni Speciali di Polizia, un reparto della Polizia Militare creato per effettuare incursioni armate nelle favelas della città carioca, già all’epoca celebre per la violenza dei suoi interventi armati. Oggi, quasi 30 anni dopo, la situazione raccontata in quel film è, se possibile, ancora peggiore.

Nella giornata di martedì 28 ottobre la polizia militare di Rio de Janeiro ha messo in atto l’operazione più letale della sua storia, coinvolgendo più di 2500 agenti nel Complexo do Alemão - una favela dove abitano più di 50.000 persone - e nel Complexo da Penha - dove vivono più di 100.000 persone.

Il blitz, deciso dal Governatore dello Stato Claudio Castro, aveva l’obiettivo dichiarato di limitare l'espansione del “Comando Vermelho”, un’organizzazione criminale che negli anni ‘90 era la più potente di Rio de Janeiro e che oggi, seppur indebolita, continua ad essere tra le principali del paese; a distanza di alcuni giorni, mentre la contabilità non sembra ancora essere definitiva, i veri risultati sono le 121 vittime, tra i quali anche 4 agenti di polizia, una città paralizzata per diverse ore a causa della reazione dell’organizzazione criminale, che ha bloccato strade e autobus, e un rinnovato senso di insicurezza per tutti gli abitanti.

 

Il problema sicurezza a Rio de Janeiro (e in Brasile)

Non è un mistero che in Brasile, e a Rio de Janeiro in particolare, esista un enorme problema legato alla sicurezza pubblica: nonostante un lieve miglioramento nel 2024, il numero di vittime della violenza a livello nazionale è stato di 44.126 morti, ovvero 21 ogni 100.000 abitanti.

Dati che, in valore assoluto, collocano il Brasile come uno dei paesi più pericolosi al mondo e che, anche parametrati per la popolazione residente, non restituiscono certo un’immagine più tranquillizzante.

La situazione della Città di Rio de Janeiro è, se possibile, ancora peggiore della media nazionale. Il tasso di morti violente raggiunge infatti le 24.8 vittime ogni 100.000 abitanti e, secondo dati di qualche anno fa, verosimilmente peggiorati, 1 abitante di Rio de Janeiro su 3 dichiara di essere stato coinvolto - spesso come spettatore involontario - in una sparatoria.

Ridurre il problema di sicurezza di Rio de Janeiro alla presenza delle organizzazioni criminali sarebbe, tuttavia, riduttivo; tra le molteplici ragioni, vale la pena citare sicuramente la peculiare conformazione geografica (Rio è una città “raccolta” tra collina e oceano, dove le zone urbane più problematiche si intersecano spesso con quelle più ricche o altamente turistiche), ma soprattutto i problemi storici strutturali mai risolti - primo su tutti le enormi disuguaglianze - che rendono la capitale carioca uno dei luoghi dove le contraddizioni brasiliane sono più evidenti.

Ma, al di là delle statistiche, analizzando le ragioni dell’operazione dello scorso martedì, il “problema sicurezza” appare essere solo un pretesto, dietro al quale si nascondono chiare motivazioni politiche. 

 

La politica della violenza

Il primo elemento, non trascurabile, è l’aperto conflitto tra il Governatore di Rio De Janeiro Claudio Castro - membro del partito dell’ex presidente Jair Bolsonaro - e il governo federale guidato da Lula.  Come hanno scritto diversi giornalisti brasiliani il governo di Rio de Janeiro ha scelto di trasformare la sicurezza pubblica in uno spettacolo, ricreando la paura che alimenta il bolsonarismo e offre all’estrema destra il combustibile per continuare ad essere rilevante.

A riprova della ricerca di uno spettacolo, le terribili immagini, giunte anche sui nostri quotidiani, dei corpi delle vittime - trasportate ed esposte in fila, in strada - in uno spietato tentativo di mostrare l’efficacia dell’azione dello Stato. Si tratta di un calcolo cinico, di convenienza politica, che il Governatore Castro aveva già messo in atto alcuni anni fa, poco prima della sua seconda campagna elettorale, quando i suoi consensi sembravano essere in calo.

Il conflitto, anche violento, è sempre stato il campo preferito del bolsonarismo, dalla sua comparsa sulla scena politica. La guerra contro il crimine, specie se condotta con metodi efferati, ha dimostrato più volte di poter essere un catalizzatore di consensi, di fronte ad una popolazione ormai stanca della cronica insicurezza del paese.

Non a caso nella campagna elettorale del 2019, uno dei principali slogan di Bolsonaro era proprio “bandido bom è bandido morto” (il bandito buono è il bandito morto). Nulla di così originale, mutuava il motto della Resistenza italiana "un tedesco buono è un tedesco morto".

E, secondo questa impostazione, poco importa se in questo tipo di azioni coercitive, polizia e governo finiscono, di fatto, “abbassandosi” al livello delle organizzazioni criminali che vogliono combattere, violando principi democratici e dello stato di diritto che si credevano assodati. Una vera e propria necropolitica come espressione ultima di sovranità, nella quale lo Stato ha il potere di decidere arbitrariamente chi può vivere e chi deve perire.

Non per ultimo, un intervento di questa entità ha permesso anche all’estrema destra di mettere il governo federale in un angolo: condannare i metodi del Governatore, rischiando così di passare come “teneri” di fronte al crimine, rafforzando la narrativa di un governo progressista che ha perso il controllo ed è, in qualche modo, connivente con queste organizzazioni o - all’estremo opposto - seguire un'agenda di “legge e ordine” che potrebbe alienare parte del tradizionale elettorale progressita?

Per il momento, per quanto il cinismo del calcolo politico e la spietatezza dell’esecuzione militare non possano che far rabbrividire parte dell’opinione pubblica, la scommessa di Castro sembra vincente: secondo il principale istituto di sondaggi nazionale, Datafolha, il 57% degli abitanti di Rio de Janeiro ritiene l’operazione “un successo”


In attesa della riforma costituzionale

Anche dal punto di vista politico, dopo diversi mesi in cui il Governo Lula stava guadagnando consensi, l’amministrazione federale si trova oggi in enorme difficoltà, costretta ad esprimersi con enorme cautela, consapevole che proprio l’area della sicurezza pubblica rappresenta il suo punto, ad un anno esatto dal voto.

Il Governo Federale sembra deciso a spingere sull’acceleratore della PEC (proposta di riforma costituzionale) della Sicurezza Pubblica, da mesi terreno di discussione tra maggioranza e opposizione, che creerebbe un sistema unico di sicurezza pubblica, a livello federale, rendendo così le operazioni coordinate tra i diversi livelli di governo mantenendo - come succede oggi - la Polizia Federale sotto il controllo dei Governatori, ma creando linee guida e direttive nazionali più stringenti, garantendo più trasparenza e controllo sull'ordine pubblico.

Una riforma necessaria, soprattutto alla luce di un altro problema, di cui in questi giorni non si sta parlando, ma che rimane centrale: il ruolo delle milizie armate paramilitari nelle grandi favelas “pacificate”, dove spesso al controllo dei narcotrafficanti viene sostituito quello - altrettanto spietato e violento - di corpi di sicurezza “privata” composti da poliziotti o ex poliziotti. Una riforma che, prevedibilmente, incontrerà però enormi difficoltà nel Congresso Nazionale, e che sarà molto difficile approvare nell’ultimo anno di mandato di Lula.

Al tempo stesso, il governo prepara un progetto di legge contro le “fazioni criminali” che, secondo le parole dello stesso Lula, dimostrerà “come combattere queste organizzazioni, dentro lo stato democratico e di diritto”, perché “il crimine organizzato non può continuare a distruggere famiglie”.

In attesa di novità dal punto di vista legislativo, ancora una volta, per spiegare quanto è tornato a ripetersi a Rio non ci resta che citare, amaramente, un altro passaggio da Tropa de Elite: “questa è una guerra, e la guerra è guerra.” 

 

 

 

 

 

 


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