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Sulla sacralità dell'albero, a proposito degli abbattimenti in corso Belgio

Aggiornamento: 18 ott 2024

di Aida dell'Oglio


E' noto oramai che da parecchi mesi un nutrito gruppo di torinesi del quartiere Vanchiglietta, una parte cospicua del quale abita in corso Belgio, si sta opponendo all'Amministrazione cittadina del verde che, sulla base di un suo Progetto, al di là di ogni considerazione di tipo ecosistemico, vorrebbe procedere all'abbattimento dell'intera alberata di aceri negundo. All'opposto, i cittadini ritengono che la presenza di questa alberata costituisca per il quartiere un importante contributo a una migliore qualità della vita. Dunque, nei fatti, si scontrano in questa triste vicenda due diverse weltanschauung.

I cittadini, che hanno richiesto che la valutazione sullo stato di salute degli aceri fosse fatta congiuntamente dagli agronomi rispettivamente nominati dal Comune e dai ricorrenti, erano e sono soprattutto preoccupati che possano venire sacrificati esemplari sani o che comunque non presentano situazioni di deterioramento cosi gravi da far temere un crollo. Dal punto di vista razionale è difficile immaginare che esemplari la cui tessera sanitaria( VTA)  li collocava  nel 2022 in classi non a rischio (A-B-C), siano passati nell'arco di poco più di un anno in classe D.

La scienza agronoma ci insegna che occorrono alcuni anni prima che si operi un deterioramento così pesante da giustificare un tale declassamento. Ma c'è molto di più nell'accorata protesta dei cittadini e nei loro reiterati tentativi di convincere l'Amministrazione a valutare assieme ai residenti l'opportunità delle drastiche operazioni progettate. C'è, in effetti, una filosofia, una visione della vita sulla terra, che ha da tempo superato la visione antropocentrica, per restituire al complesso della natura la dignità che già aveva avuto nel passato.

Per i Romani il boschetto, il lucus, era la dimora terrena delle divinità. Ogni albero, ogni fronda, era sede di ninfe e creature divine varie. Pertanto gli alberi erano sacri. Ancora nell' 800, nel Carme “I sepolcri”,  Ugo Foscolo, fattosi sacerdote di una civiltà millenaria, fa dire alla dolente profetica Cassandra:

“... e chi la scure asterrà, pio, dalle devote fronde men si dorrà di consanguinei lutti e santamente toccherà l'altare.”

Abbiamo forse rinnegato i valori che la civiltà occidentale ci ha tramandato? Le sue antichissime radici, l'arte, la natura? Per quelli di noi che cercano di tenere il passo con gli sviluppi del pensiero e della scienza moderna, la considerazione che il mondo antico ha avuto per la natura appare da tempo avvalorata dalle osservazioni scientifiche. E' conoscenza diffusa ormai che le piante sentono, soffrono, pensano. Sono capaci di elaborare sistemi di difesa dagli attacchi piccoli o grandi che l'uomo opera contro di esse. Un nome per tutti: Vito Mancuso, teologo e filosofo, il quale afferma che “facciamo parte di una natura abitata da un'intrinseca tendenza alla relazione e all'organizzazione sistemica e il nome di tale tendenza è armonia”.

L'armonia tra gli esseri viventi: uomini, animali, creature, che in questo periodo storico si sta tentando di infrangere, in modo più o meno consapevole. E assieme a quella di Vito Mancuso, la voce di Stefano Mancuso, direttore a Firenze del “Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, il quale, assieme a molti altri illustri naturalisti, riconosce alle piante non solo capacità sociali, ma anche una certa intelligenza. “Senza le piante”, ci ammonisce Mancuso, ”non ci sarebbe vita sulla terra". E' ormai chiaro a molti, non sulla base di una semplice visione “sentimentale”, ma perché la ricerca scientifica ce ne fornisce continuamente le prove, che noi uomini siamo parte della natura allo stesso modo in cui lo sono tutti gli altri esseri viventi dell'Universo. E gli alberi, appunto. Non era un modo di dire l'espressione che la poetessa Minou Drouet, all'epoca appena alle soglie dell'adolescenza, usava quando, rivolgendosi all'albero lo chiamava “mon ami”.

Molti di coloro che hanno assistito al blitz del  sei febbraio scorso [1] hanno sofferto e pianto, realmente sofferto, nel vedere le motoseghe abbattere i tre primi aceri di corso Belgio condannati a morte e nel vedere il modo assai poco professionale in cui alcuni alberi sono stati potati, o, per meglio dire, privati di alcune parti di tronco.

Quello che noi chiediamo, non come residenti di corso Belgio, ma come esseri umani che considerano simili a sé le piante e gli animali che esse ospitano, è che vengano rispettati i diritti di queste creature della natura. Si manderebbe forse a morte un individuo perché ha i funghi sotto le unghie? E allora perché condannare all'abbattimento un albero che, pur essendosi nel passato ammalato e senza aver ricevuto cure adeguate, da sé solo ha elaborato un  sistema di difesa che gli permette, di riprendere ogni anno, dopo la pausa invernale, il

proprio ciclo vitale e di continuare ad offrire all'uomo, che spesso lo maltratta, il suo verde, la sua ombra, il suo ossigeno?


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