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Strage del 18 dicembre 1922: in consiglio comunale a Torino commemorato Carlo Berruti


Nella seduta di oggi, 19 dicembre, il consiglio comunale di Torino ha commemorato i morti della strage fascista del 18-20 dicembre del 1922[1] e la figura di Carlo Berruti, il consigliere comunale di Torino, comunista, prima vittima della violenza orchestrata da Piero Brandimarte, capo indiscusso dello squadrismo torinese.

Una strage "ufficialmente" decisa e voluta, ma in incubazione da mesi con il deliberato proposito di eliminare gli avversari politici, per vendicare le camicie nere Lucio Bazzani e Giuseppe Dresda, entrambi feriti a morte la sera prima dal giovane tranviere comunista, Francesco Prato, che si era difeso a colpi di rivoltella nell'agguato che i due gli avevano teso mentre rincasava in Barriera Nizza. Sul banco della Sala Rossa, dove sede Carlo Berruti, un cuscino di fiori ne ha ricordato il sacrificio.


Caccia ai "sovversivi"

La cronaca di quei giorni è terrificante. Alla notizia della morte dei due "camerati", Piero Brandimarte dà il via libera a una autentica caccia all'uomo. E il manifesto che gli squadristi affiggono sui muri di Torino nelle prime ore del 18 dicembre non lascia presagire nulla di buono. E' un incitamento all'odio: «I nostri morti non si piangono: si vendicano. Ordino l'adunata degli squadristi stasera. Il comandante delle squadre: Brandimarte».

Il primo a cadere sotto la barbarie fascista è appunto Carlo Berruti, segretario del sindacato dei ferrovieri. Nel primo pomeriggio l'orda fascista lo preleva negli uffici delle Ferrovie di corso Re Umberto 48, lo sbatte in una macchina che si dirige alla sede del fascio di corso Cairoli. Dopo una breve sosta, la macchina punta verso l'aperta campagna nei pressi di Nichelino, dove Berruti viene ucciso a colpi di revolver sparatigli alla schiena. , La furia cieca dei fascisti non si arresta.

Gli squadristi picchiano, uccidono, seviziano, come ossessionati dal desiderio di sangue. Nella notte, intercettano Pietro Ferrero, anarchico, dirigente del sindacato dei metallurgici, già malmenato selvaggiamente al mattino in un assalto alla Camera del Lavoro. I fascisti non gli danno tregua e ne fanno scempio: ancora cosciente, viene legato per i piedi ad un camion e trascinato lungo corso Galileo Ferraris sino al monumento a Vittorio Emanuele II. Il 20 dicembre, gli squadristi sequestrano in una osteria di via Nizza Evasio Becchio, 25 anni, operaio comunista. Lo trascinano su un camion e lo uccidono a revolverate. Becchio è l'ultima vittima ufficiale. Ma Piero Brandimarte, ebbro di onnipotenza, dichiarerà in una intervista al giornale «Il Secolo» di Milano che «i morti sono stati ventidue». Altre fonti parlano di una cinquantina di vittime. Tre giorni dopo la strage il presidente del Consiglio Benito Mussolini firma il decreto di amnistia che copre tutti i delitti commessi «per fine nazionale».[2]


Le confessioni in "Nascita di una dittatura"

Il 1° dicembre del 1972, nella quarta puntata dell'inchiesta televisiva «Nascita di una dittatura»[3], Sergio Zavoli toccò lateralmente la strage del 18 dicembre intervistando Dante Maria Tuninetti, esponente del fascismo torinese, divenuto nel 1924 federale della città. Zavoli chiese di spiegare le motivazioni dell'eccidio con il fascismo al governo e l'impegno di Mussolini di rispettare la legge. Tuninetti non esitò a rivelare ciò che negli anni fascisti avevano sempre negato: cioè, la premeditazione del fatto.

Quell'eccidio era stato giustificato come una «normale» rappresaglia seguita a uno scontro con alcuni «sovversivi». Davanti a milioni di italiani, l'ex gerarca fascista Tuninetti affermò che «si è trattato di un piano preparato molto tempo prima, un piano di emergenza che non era mai stato applicato perché la marcia su Roma, era andata su regoli molto più oliati di quanto si pensasse e si preventivasse. Venne data attuazione a questo piano di emergenza che prevedeva l'eliminazione dei nemici più accesi e più pericolosi e l'occupazione e la distruzione della redazione e della tipografia dell' "Ordine nuovo".[4]



Note


[1] I caduti della strage: Carlo Berruti, Leone Mazzola, Giovanni Massaro, Matteo Chiolerio, Andrea Chiomo, Pietro Ferrero, Erminio Andreoni, Matteo Tarizzo, Angelo Quintagliè, Cesare Pochettino, Evasio Becchio.

[1] Diego Novelli, 50 anni fa la "strage" di Torino, l'Unità, 17 dicembre 1972 in https://archivio.unita.news/assets/main/1972/12/17/

[3] Diego Novelli, 50 anni fa la "strage" di Torino, l'Unità, 17 dicembre 1972 in https://archivio.unita.news/assets/main/1972/12/17/








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