top of page

SETTIMANA FINANZIARIA Mercati: volatilità sotto controllo

a cura di Stefano E. Rossi

ree

Guerra e pace. Sotto l’ombrellone, un conflitto aereo-missilistico con tecnologie satellitari durato quasi due settimane ha acceso gli interessi, insieme a nuove ansie, in giro per il mondo. Poche, invece, sui monitor le preoccupazioni destate ai professionisti della finanza.

L’indice VIX (che si legge vics) registra la volatilità in Borsa. È un segnale del nervosismo dei mercati e, quando sale, aumentano anche le tensioni sociali ed economiche internazionali. Per questo, c’è chi lo soprannomina Indice della paura.


Guerra Usa-Iran: il petrolio non si "infiamma"

Nel pieno del conflitto mediorientale l’indice S&P500-VIX è salito debolmente oltre quota 22, per ripiegare velocemente a 16, cioè intorno ai valori medi storici. Per segnalare situazioni di vera crisi finanziaria, può raggiungere valori tripli o quadrupli. Com’era accaduto di recente, complice il Liberation day del 2 aprile scorso, quello dell’annuncio dei dazi. Aveva sfiorato quota 60. Un limite oltrepassato solo nel marzo 2020 (era a 85), agli albori della stagione del Covid e dei lockdown, o da quota 90 dell’ottobre 2008, al tempo della crisi finanziaria dei subprime, foriera di più di un decennio di depressione economica e degli impensabili tassi d’interesse sotto zero.

È incredibile che i dazi possano aver fatto più paura di una paventata battaglia atomica. Come hanno testimoniato venerdì pomeriggio alcune battute sui social media tecnici: M..Y..- non sale nemmeno con le guerre... cosa deve succedere per farlo salire?; G..H..- Che il biondo dica che applicherà i dazi al Burkina Faso.

E in effetti, stavolta, i mercati non hanno ritenuto di impegnarsi più di tanto. Si può dire che la guerra tra Israele-Usa, da una parte, e Iran, dall’altra, sulle borse abbia suscitato poco più che l’emozione di un videogioco da divano. È confermato da alcuni esempi di dettaglio.

Il petrolio greggio: ha oscillato per tutto il trimestre tra 60 e 65 dollari al barile, dopo la fiammata di inizio aprile a 71 dollari per l’annuncio dei dazi. Nei dodici giorni di guerra, la punta massima che ha raggiunto è stata 77. Adesso quota nuovamente 65. Se consideriamo che l’anno scorso, di questi tempi, era sopra gli 80 dollari al barile, capiamo che l’oscillazione è rimasta entro i limiti della prassi. Non c’è stato né panico, né speculazione. Il prezzo del gas naturale si è accodato, mostrando un analogo comportamento.

L’oro: nel corso del secondo trimestre di quest’anno si è mosso stabilmente intorno a quota 3.300 dollari l’oncia (circa 95 euro il grammo), discostandosi da quella linea mediana solo del 2% in più o in meno. All’inizio del conflitto era logico aspettarsi una fiammata. Invece, ha avuto un accenno a +4,5%, ma solo per un giorno e mezzo, per poi ritornare prontamente nei ranghi. Al termine di questa settimana ha chiuso in discesa a 3.275.


L'opaca stagione del dollaro

L’indice della Borsa di New York, lo Standard & Poor’s di Wall Street: in tutto questo periodo non si è minimamente scomposto. Dopo la tregua, ha iniziato a salire verso nuovi massimi assoluti. Idem l’indice dei tecnologici, il Nasdaq. Ha finto un minimo di volatilità ma senza convinzione, replicando l’andamento orizzontale fino a inizio settimana, per poi prendere a salire.

Il dollaro: sappiamo già come, dall’avvento di Trump, non stia vivendo una bella stagione. La crisi con Teheran avrebbe dovuto rafforzarlo, se avesse mantenuto il suo storico ruolo di moneta rifugio. Ma è avvenuto solo in minima parte. Anzi, appena raggiunto il cessate il fuoco, si è fortemente indebolito per chiudere a 1,17 in rapporto con l’euro. Quest’ultimo comportamento, però, è di altra natura. Infatti, si sta avvicinando la data della prima riduzione dei tassi del 2025 ad opera della FED, tanto reclamata alla Casa Bianca. È attesa non oltre il mese di settembre. Un modesto -0,25%, da ripetere probabilmente in prossimità del fine anno. Un inverosimile regalo estivo e uno di Natale da parte del capo della Banca Centrale Jerome Powell al suo primo detrattore, il Presidente Trump.

E così, dato che il recente conflitto sembrerebbe già rimosso, Wall Street flirta con nuovi massimi di borsa, come titola Reuters, una delle più accreditate agenzie d’informazione in tema di finanza. Anche se, ad essere sinceri, sebbene nessuno smetta di tenere gli occhi aperti sullo stretto di Hormuz, vero tallone d’Achille globale e cardine dell’approvvigionamento mondiale del petrolio. Sicuramente, andrà tutto bene. Ma l’esperienza insegna che… non si può mai dire.

 

Banca Mps scalda i motori, Mediobanca freddezza british

Settimana fiacca in Piazza Affari. Finge di risvegliarsi martedì mattina, con la tregua israelo-iraniana, ma poi non accelera. L’andamento dicotomico di alcuni settori rispecchia le variabili economiche legate dapprima alla guerra, poi alla ritrovata pace, infine al contrastato accordo NATO sul riarmo. Così, i titoli energetici, come Eni (-3,33%), Snam (-3,14%) e Saipem (-3,52%), saliti sull’onda della crescita del petrolio e del gas, ora ritracciano e sono tra i peggiori della settimana. Per contro, iniziano a brillare le società che potrebbero beneficiare della pioggia di investimenti UE nelle strutture di difesa, come Buzzi Unicem (+6,50%), Webuild (+6,37%) e Prysmian, la ex Pirelli cavi (+8,56%).

Le scalate bancarie sono sempre d’attualità. Mercoledì le televisioni, specie quella di Stato, accendono i fari sull’affaire Banca Mps-Mediobanca. Però, nonostante tanta pubblicità, l’argomento non scalda i cuori della finanza e le due azioni sonnecchiano nell’affollata camerata del risiko bancario, in attesa che arrivi qualcuno a sbrandare davvero i vertici della banca soccombente.

Ma è utile ripercorrere gli ultimi passaggi. Arriva mercoledì il via libera della Banca Centrale Europea all’offerta pubblica di scambio di Mps per impadronirsi di Mediobanca. Il giorno dopo, giovedì, a Siena si scaldano i motori e viene varato un aumento di capitale da 13,2 miliardi di euro a sostegno dell’operazione di acquisizione. Adesso la banca ha le carte in regola: nulla osta all’invio in Consob del prospetto per l’Offerta Pubblica di Scambio da sottoporre al giudizio degli azionisti e al verdetto dei mercati. Il periodo di offerta dovrebbe aprirsi nella prima metà di luglio per concludersi un mese dopo, ad agosto.

Ma Mediobanca non si scompone. Mantiene un self-control che risulterebbe invidiabile anche da parte del più british dei businessmen inglesi. E così, venerdì è stato presentato il Piano quadriennale, fino al 2028. I ricavi saranno in aumento del +20%, a 4,4 mld, e gli utili saliranno a 1,9 miliardi di euro, cioè +45%. Arriva anche lo zucchero: d’ora in avanti la remunerazione per gli azionisti sarà pari al 100 % degli utili. Nel triennio verranno distribuiti dividendi per 4,5 mld. Quest’anno l’utile distribuito sarà di 1,12 euro per azione. I dividendi del bilancio 2026 saliranno del +50%, fino a raddoppiarsi sia nel 2027, che nel 2028, cioè 2,10 euro per azione.

Il piano strategico porterà al secondo polo nazionale del wealth management, cioè la gestione dei patrimoni privati. Verrà coinvolta anche Banca Generali, la cui operazione di acquisizione sarà discussa in assemblea il 25 settembre, con possibile closing a ottobre. Tutto incredibilmente senza fretta, dimostrando nervi ben saldi.

In sintesi, ci viene proposta una stimolante strategia d’integrazione industriale e un ambizioso neo-protagonismo nel panorama finanziario italiano, accompagnati da allettanti proposte economiche agli azionisti. La banca di piazzetta Cuccia sta alzando barricate molto più sofisticate di quelle messe in campo da chi, dalla senese piazza Salimbeni, la sta assediando.

Sarà la Borsa, nelle prossime settimane, a dimostrarci con i fatti se avrà ritenuto credibili le dichiarazioni del management di Mediobanca oppure se preferirà Banca Mps, accodandosi al tentativo di scalata.

Si chiude favorevolmente la prima delle tante offerte pubbliche che stanno affollando il sistema bancario italiano. È quella di Banca Ifis su Illimity di Corrado Passera. La soglia minima di adesioni era fissata al 60%. In una settimana ricca di nuovi spunti e colpi di scena, mercoledì è stato offerto un bonus aggiuntivo del 5% nel caso di superamento del 90% di adesioni. Giovedì si è sciolto il patto parasociale dei soci che si opponevano alla scalata. Venerdì mattina, raggiunto il 52%, è arrivata la notizia del conferimento all’opas del pacchetto del 3,9% detenuto dal fondatore Corrado Passera. Venerdì sera l’offerta è andata a buon fine, con l’84% del passaggio di azioni e l’annuncio della proroga di ulteriori cinque giorni. Serviranno per superare quota 90% e consentire a Banca Ifis di accelerare le operazioni di integrazione, riducendone i costi.

 

Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB.

I Tori: Prysmian +8,56%, Stellantis +7,77%,

Gli Orsi: Amplifon -4,65%, Poste Italiane -3,87%

FTSE MIB: +1,30% (valore indice: 39.742)

 

I presenti commenti di mercato rivestono un esclusivo scopo informativo e non intendono costituire una raccomandazione per alcun investimento o strategia d’investimento specifica. Le opinioni espresse non sono da considerare come consiglio d’acquisto, vendita o detenzione di alcun titolo. Le informazioni sono impersonali e non personalizzate.

Commenti


L'associazione

Montagne

Approfondisci la 

nostra storia

#laportadivetro

Posts Archive

ISCRIVITI
ALLA
NEWSLETTER

Thanks for submitting!

Nel rispetto dell'obbligo di informativa per enti senza scopo di lucro e imprese, relativo ai contributi pubblici di valore complessivo pari o superiore a 10.000,00, l'Associazione la Porta di Vetro APS dichiara di avere ricevuto nell’anno 2024 dal Consiglio Regionale del Piemonte un'erogazione-contributo pari a 13mila euro per la realizzazione della Mostra Fotografica "Ivo Saglietti - Lo sguardo nomade", ospitata presso il Museo del Risorgimento.

© 2022 by La Porta di Vetro

Proudly created by Steeme Comunication snc

LOGO STEEME COMUNICATION.PNG
bottom of page