"Scatenerò l'inferno su Gaza", in mondovisione la ricostruzione promessa da The Donald
- La Porta di Vetro
- 11 feb
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The Donald, il capo indiscusso della nazione più potente del mondo, oggi minaccia per l'ennesima volta - in precedenza è accaduto il 3 dicembre e 23 dicembre scorsi, e il 7 gennaio - di scatenare l'inferno su Gaza. Siamo alle solite. Come succede a tutti coloro che eletti democraticamente credono poco mischiato a niente nella democrazia, non appena scopre che qualcuno recalcitra ad eseguire alla lettera i suoi ordini, the Donald perde ogni freno inibitore e inciampa nella rabbia. In una circostanza, i palestinesi, nonostante siano allo stremo, gli hanno risposto con velata ironia: "così staremo meglio!". Ma pare che nel suo egocentrico al di qua, lui non abbia o raccolto o compreso la battuta sul complesso rapporto che alcuni esseri umani stabiliscono con l'al di là e il trascendente in genere.
Nell'ultimo caso, per farla breve, a causargli il massimo dell'irritazione, con stravolgimento del libidico ciuffo accuratamente laccato, è ancora una volta Hamas, che minaccia di sospendere il rilascio degli ostaggi. Così the Donald si è visto costretto ad indossare nuovamente i panni del gladiatore. Cambio d'abito che se placa l'ira funesta del suo migliore alleato Israele e del ricercato per crimini di guerra e contro l'umanità Benjamin Netanyahu (alla stessa stregua dei capi di Hamas e dell'ex ministro della difesa Gallant), genera al contrario una tensione casalinga per la nota e scarsa disponibilità di Melania a condividere l'estetica dei corpi al ribasso. Una frustrazione che the Donald ha cercato in più modi di superare con reazioni a volte sopra le righe e a volte sotto le pieghe delle lenzuola. In un certo qual modo ne fanno fede, se si guarda in retrospettiva, le sue numerose disavventure giudiziarie, dall'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 alle scappatelle mordi e fuggi con signorine compiacenti a pagamento.
Ora c'è il ruolo adrenalinico del gladiatore, di cui sembra essersi perdutamente innamorato. Anche perché ad Hollywood, qualche servo sciocco gli ha assicurato che potrebbe concorrere per l'Oscar. Una rivalsa per chi finora ha ricevuto due Razzie Award for Worst Actor, il premio assegnato dai Golden Raspberry Awards al peggior attore cinematografico dell'anno, da the Donald conquistati alla grande con i documentari che lo vedevano incontrastato protagonista, Fahrenheit 11/9, diretto da Michael Moore, e Death of a Nation, diretto da Dinesh D'Souza.
Insomma, in ultimo, per ritornare alle sue minacce, si è presi dalla terribile convinzione che nel moto perpetuo distruzione-ricostruzione del mondo, the Donald-Stranamore non sempre riesca a stabilire una partenza in sincro cervello e parola. Il che, se non è stato un serissimo problema (si fa per dire) ieri o ieri l'altro, lo è sicuramente oggi, tanto per il Pentagono che deve pianificare i teatri di guerra e gli scenari di distruzione, tanto per la lobby che deve definire il cronoprogramma di ricostruzione della nuova Gaza-beach con parco giochi Disneyland annesso e di deportazione in qualche isola dei palestinesi. Il vero inferno.













































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