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La stanza del pensiero critico. C'è un "desaparecido" in Italia: è il sindacalismo ambientale

Aggiornamento: 30 minuti fa

di Savino Pezzotta


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Mentre l'ambientalismo è sempre più al centro del dibattito politico e sociale in un mondo che si trova ad affrontare i cambiamenti climatici, l'esaurimento delle risorse naturali e l'inquinamento globale, il sindacalismo confederale, in particolare quello delle principali centrali sindacali italiane, ha mostrato un notevole ritardo nel confrontarsi in modo deciso con le sfide ecologiche. In questo articolo cerco di analizzare le difficoltà del sindacalismo confederale nell'integrare le tematiche ecologiche nella sua agenda, pur riconoscendo le potenzialità di un futuro più consapevole e attento all'ambiente.


Il ritardo di Cgil, Cisl e Uil

Le principali confederazioni sindacali italiane, come la CGIL, la CISL e la UIL, hanno storicamente centrato la loro attività sulla difesa dei diritti dei lavoratori, sulle politiche salariali, sulla lotta alla precarietà e sulla protezione sociale. Nonostante il forte impegno sui temi sociali e del lavoro, la questione ambientale è stata per lungo tempo relegata in secondo piano, trattata come un argomento di nicchia o, peggio, come una questione separata dai tradizionali obiettivi del movimento sindacale.

Questo ritardo nel cogliere l'urgenza della transizione ecologica ha diverse cause. In primo luogo, la tradizione sindacale ha storicamente posto al centro le rivendicazioni legate alla produzione, al lavoro e alla crescita economica, concependo spesso l'ambiente come una variabile esterna. La priorità era dare risposte alle difficoltà immediate dei lavoratori, piuttosto che occuparsi di problematiche ambientali che venivano viste come lontane dalle necessità quotidiane.

In secondo luogo, la mancanza di una strategia chiara e condivisa riguardo al "green new deal" e alla transizione ecologica ha creato confusione nelle leadership sindacali. Spesso, i temi ambientali venivano presentati come incompatibili con gli interessi economici immediati dei lavoratori, generando scetticismo verso le politiche ecologiche. Inoltre, il rischio di disoccupazione legato alla riconversione ecologica dei settori industriali più inquinanti ha alimentato una resistenza sindacale verso la "decarbonizzazione" o la "transizione verde", viste come potenzialmente dannose per l'occupazione.


Le nuove sfide il sindacato confederale

Tuttavia, la crescente incidenza di disastri naturali, come siccità, alluvioni e il progressivo deteriorarsi delle condizioni ambientali, impongono una revisione di tale approccio. Le politiche di sviluppo sostenibile non sono più una questione marginale, ma una necessità urgente. La questione ecologica, che prima sembrava appartenere solo ai movimenti ecologisti o ad altre categorie sociali, è ormai diventata centrale per il futuro della società e dell'economia.

Non aiuta in questa direzione il vertice ONU sul clima, la COP30, che si è concluso sabato scorso a Belém, in Brasile, che ha lanciato uno slogan pieno di ottimismo: “Mutirão”, termine indigeno che significa "sforzo comune", un invito a andare uniti verso un obiettivo. Il problema è che, giunti alla fine del vertice, è mancato proprio l’obiettivo concreto, o almeno una realizzazione che rendesse giustizia a un consesso che, dieci anni dopo gli Accordi di Parigi, avrebbe dovuto aggiornare le ambizioni mondiali per contrastare il cambiamento climatico, sia in termini di azioni dirette che di fondi da destinare ai Paesi più vulnerabili. Soprattutto ora che sembra impossibile limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi.

Nonostante questo, e forse proprio a causa di ciò, i sindacati non possono più permettersi di ignorare le sfide ambientali. In primo luogo, la transizione ecologica sta determinando la nascita di nuovi settori produttivi, come le energie rinnovabili, l'efficienza energetica e l'economia circolare, che offrono opportunità di lavoro. Al contempo, i sindacati hanno il compito di tutelare i lavoratori anche in quelle industrie che rischiano di essere penalizzate dal passaggio a modelli di sviluppo più sostenibili. Le sfide legate alla riconversione delle attività produttive devono essere affrontate in modo equo e sostenibile, cercando di evitare il "green divide", ovvero la divisione tra chi beneficia della transizione ecologica e chi invece ne paga il prezzo sotto forma di disoccupazione o precarietà.


Segnali di recupero...

Nonostante le difficoltà iniziali, le confederazioni sindacali stanno lentamente iniziando a confrontarsi con la necessità di integrare l'ambientalismo nella loro agenda. Molti sindacati europei, come la confederazione tedesca DGB, hanno già avviato un dibattito interno sulle politiche di transizione ecologica, cercando di combinare la difesa dei diritti dei lavoratori con gli obiettivi di sostenibilità. In Italia, iniziative come quelle della CGIL, che ha recentemente lanciato la "Carta della Sostenibilità", e la CISL, che ha aderito alla "Just Transition" (transizione giusta), sono segnali di un impegno crescente. La "Just Transition" implica che la transizione ecologica non deve lasciare indietro i lavoratori e le comunità più vulnerabili, ma garantire equità sociale.

Occorre però che la crisi climatica assuma nelle politiche delle confederazioni il ruolo che un tempo aveva la “questione sociale”. La transizione ecologica, quindi, deve essere accompagnata da politiche che facilitino la riqualificazione professionale, il sostegno al reddito e la creazione di nuove opportunità di lavoro. Segnali di impegno per ripensare il ruolo dei sindacati in un contesto ecologico stanno emergendo, ma c'è ancora molta strada da fare.

Per rendere concreta questa transizione, è fondamentale che i sindacati, in modo unitario, pongano al centro la "giustizia ecologica". Non si tratta solo di promuovere la sostenibilità ambientale, ma di garantire che il passaggio a un’economia verde non penalizzi i lavoratori più vulnerabili, in particolare quelli impiegati in settori ad alta intensità di carbonio, come l'industria pesante, l'agricoltura intensiva e il settore dei trasporti. La formazione professionale, il riutilizzo delle competenze e il rafforzamento della rete di protezione sociale devono essere i pilastri di un ambientalismo sindacale che risponda alle necessità dei lavoratori senza sacrificare il benessere del pianeta.


Conclusioni

Il sindacalismo confederale si trova davanti a una sfida fondamentale: come integrare le istanze ecologiche nella sua tradizionale lotta per i diritti dei lavoratori? Il ritardo con cui ha affrontato la questione ambientale è stato un errore strategico, ma non è troppo tardi per recuperare terreno. L’ambientalismo sindacale può e deve diventare una leva per migliorare la qualità della vita dei lavoratori, creando posti di lavoro verdi, promuovendo la sostenibilità delle produzioni e rafforzando la solidarietà tra le generazioni. La vera sfida sarà riuscire a costruire una transizione che non solo rispetti l'ambiente, ma che sia anche giusta e inclusiva.

Il futuro dell'ambientalismo sindacale dipenderà dalla capacità dei sindacati di adattarsi, evolversi e comprendere che le lotte per il lavoro e per l'ambiente non sono contrapposte, ma profondamente intrecciate.

 

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