SETTIMANA FINANZIARIA. Moody's alza il rating Italia
- a cura di Stefano E. Rossi
- 3 giorni fa
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Ma la crescita economica rimane al palo
a cura di Stefano E. Rossi

Per ultimo, ma non da ultimo, Moodys’. Risaliamo dal rating quasi spazzatura di Baa3 a un più confortante Baa2. Dopo Fitch (BBB+), Standard & Poor’s (BBB+) e Morningstar (A low), la prestigiosa agenzia di rating è giunta, anche lei, alla decisione di promuovere i conti dell’Italia. Sotto la guida dell’accoppiata Meloni-Giorgetti il nostro Paese sta fornendo maggiori garanzie di stabilità nei conti pubblici, di continuità di governo e, anche se meno, sul lato del livello di crescita economica. La decisione di Moodys’ può rivelarsi di buon auspicio per l’uscita dell’Italia dalla procedura d’infrazione per debito eccessivo, ritenuta da molti come possibile e allo studio del commissario europeo Valdis Dombvrovskis.
Quella del rating è una promozione che si rifletterà sulla vita di tutti noi. Quando migliora, come in questo caso, si riduce la spesa per il pagamento degli interessi sul debito pubblico. Inoltre, il divario con gli altri Stati europei, cioè il famoso spread, potrebbe assottigliarsi ulteriormente. Oggi siamo al pari della Francia, ma continuiamo a pagare interessi più alti della Germania per 76 punti base (+0,76% annuo) e 25 rispetto alla Spagna (0,25%). Per poco che sia, il divario di competitività si vede ancora, specialmente se rapportato all’ammontare del nostro debito pubblico (oltre 3 mila miliardi di euro).
Wall Street sull'ottovolante
Come in un volo acrobatico la borsa di New York precipita, poi s’impenna a metà settimana provando a guardare a nuovi massimi. Ma a un certo punto esita, va in stallo e, subito dopo, chiude in picchiata, cumulando una perdita secca del 3 per cento.
Al centro delle attenzioni c’è Nvidia, il colosso tecnologico statunitense produttore di processori grafici. È in grado d’influenzare l’andamento di tutte le piazze internazionali con gli incredibili risultati di una trimestrale da favola, sia per gli utili (1,30 dollari per azione, rispetto a 0,81 dello scorso anno), che per il fatturato (57 miliardi, 2 in più del previsto). E l’azione schizza su del 5%. Giovedì, nel giro di poche ore riesce a infiammare le speranze dei rialzisti per poi spegnersi miseramente. Così, l’entusiasmo si rivela un fuoco di paglia.
Il giorno dopo, ieri sera, si vede una storia diversa. Wall Street, sorniona, aspetta che chiudano le borse degli altri, per lasciare tutti indietro e recuperare in solitudine un punto percentuale. Non è la prima volta che se la gioca così. Finisce la settimana limitando le perdite a -1,91%.
Ma nonostante questi trucchetti, la febbre sta salendo. E te ne accorgi solo se la misuri. Il termometro c’è. È l’indice VIX-S&P500, quello che registra la volatilità, segnalando agli investitori l’aumento del rischio del mercato. Il VIX va subito in fibrillazione e tocca quota 28,27 per poi chiudere la settimana a 23,43. È il secondo picco più alto del 2025, superato solo dal 60,13 di inizio aprile.
Quella volta lì, ci trovavamo al culmine del disorientamento per il Liberation Day, quando furono pubblicamente esposte le tavole dei dazi, il nuovo comandamento di Trump. Questa volta qui, invece, potremmo trovarci ad affrontare i postumi di una sbornia o di un’indigestione da Stock Exchange, le borse internazionali. Da circa un mese hanno preso una precisa china discendente. Dopo il 29 ottobre l’indice americano S&P500, tra alti e bassi, ha registrato un –4,44%. Si tratta di una data chiave, quella che coincise con il taglio dei tassi del -0,25% da parte della banca centrale Usa, la FED.
Per dirla con un commentatore finanziario, quel giorno gli investitori si erano comportati come chi si siede a tavola, gli viene portato un menù troppo ricco e decide di non scegliere nulla. Infatti, riprendendo la parafrasi, da allora la reazione è stata proprio questa. Anzi, oltre a non ordinare nulla, la scelta di tanti investitori è stata quella di alzarsi da tavola e uscire. Meglio portare a casa i buoni guadagni realizzati in una corsa al rialzo che è durata tutto l’anno, invece di rischiare lo scoppio improvviso di una bolla finanziaria.
Sono momenti ad alta tensione e gli operatori professionali si osservano reciprocamente. Guardando le mosse del vicino provano a intuire dove convenga acquistare adesso. Ma è tutto molto caro, a partire dai fumetti. Una singola copia di Superman, datata giugno 1939 e ritrovata nella soffitta della mamma, ha fruttato al suo fortunato scopritore californiano 9,12 milioni di dollari. È il giornalino più prezioso di sempre. È il momento di fare ordine nei solai delle case, ma non solo, anche nei titoli posseduti in portafoglio.
Crédit Agricole new entry nel risico bancario
Piazza Affari questa volta copia dai peggiori. Non sale sulle montagne russe, ma, anche senza provare quei brividi, sul finire della settimana segna lo stesso risultato di New York, se non peggio. Però si trova in buona compagnia. Infatti, hanno preso la stessa piega ribassista il Giappone (-3,48%), la Germania (-3,29%) e la Spagna (-3,21%).
Il risiko bancario si fa sentire di nuovo e ha l’accento francese. Crédit Agricole insidia Banco Bpm. Eravamo ancora freschi della vicenda golden power, cioè l’alt esercitato dal governo contro l’Offerta pubblica di scambio (Ops) di Unicredit su Bpm, che vediamo arrivare un nuovo attacco. La banca francese detiene già una partecipazione del 20% ma, con l’approvazione della Bce, vorrebbe salire al 29% nell’azionariato della banca popolare.
Anche l’episodio golden power non parrebbe concluso. Il provvedimento di Palazzo Chigi è stato posto al centro di un’istruttoria per infrazione, avviata questo fine settimana dall’Ue. Banche tuttora in fermento, quindi, com’è avvenuto per tutto l’anno, ma con una differenza, sostanziale: hanno perso la forza di far salire i listini di borsa.
Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB.
I Tori: Hera +2,95%, Terna +2,05%,
Gli Orsi: Leonardo -8,76%, STMicro -7,53%.
FTSE MIB: -3,03% (valore indice: 42.661)













































Concordo sull’analisi anche se noto che i futures su s&p 500 sono ancora promettenti (sarà per i consumi usa?)