L'Editoriale della domenica. Ucraina: note controcorrente sul nuovo piano di pace
- Michele Corrado
- 2 giorni fa
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di Michele Corrado

Gli Stati Uniti si sono fatti nuovamente avanti per tentare di risolvere, almeno temporaneamente, il conflitto che da quasi quattro anni si combatte in Ucraina. E si sono proposti con un piano che riflette il loro stile, in maniera articolata e sofisticata. E con i cambi di passo, è doveroso aggiungere, che caratterizzano il temperamento di Donald Trump, che ieri, sabato 22 novembre, ha lasciato spazio a modifiche e rivisitazioni del suo piano in 28 punti, anche in vista dell'incontro che ci sarà nel pomeriggio di oggi a Ginevra tra delegazioni, americana e ucraina, cui dovrebbe partecipare una rappresentanza della UE.
Tuttavia si deve ricordare che l'iniziativa della Casa Bianca è espressione della reticenza, sempre più manifesta, degli Usa a impegnarsi finanziariamente nella campagna di resistenza a Putin. Trump, è abbastanza evidente, considera esplicitamente esaurito il tempo dato agli ucraini per risolvere sul terreno la guerra contro la Russia. Quel tempo è scaduto e, in ultima analisi, se non vuole collassare definitivamente, l'Ucraina deve accettare rapidamente le proposte per sospendere le ostilità, entro giovedì 27 novembre, giorno del Ringraziamento. Almeno è questa la data stabilita, non ancora smentita.
Guardato da vicino, il piano, contestato dall'Unione Europa, è per i Russi una buona soluzione temporanea, che consentirebbe loro di mantenere le pregiate zone minerarie della regione, consolidare ed organizzare quel territorio in vista di scenari futuri, mettersi al riparo da azioni offensive in profondità nel loro territorio da parte dell'esercito ucraino e, ultimo, ma non meno importante, “regolarizzare” l'acquisizione della Crimea. Osservando la cartina del fronte, e ciò che finora hanno espresso le operazioni sul terreno, è indubitabilmente anche una soluzione di buon profilo per l'Ucraina.
In realtà le riserve che accompagnano e seguono la proposta di Trump derivano dalla rigida impostazione data al conflitto da parte ucraina ed europea. Essendo le parti a “digiuno” di esperienze e capacità di condotta di operazioni militari convenzionali su larga scala e con attori continentali, non si comprende che il meritorio concetto - anche sul piano morale - di “pace giusta” non ha significato alcuno se parametrato a guerre convenzionali dove, chi prevale sul terreno ha ragione, e chi soccombe ha torto, indipendentemente dai presupposti di partenza. In altri termini, come è stato più volte ribadito in più interventi anche su La Porta di Vetro, fin dai primi mesi del conflitto, se si voleva incidere concretamente sul corso del conflitto era necessario impegnarvisi direttamente, visto lo squilibrio numerico tra Ucraina e Russia. La storia ci ricorda, infatti, che gli Stati Uniti intervennero in Europa direttamente nella Grande Guerra e, dopo l'attacco a Pearl Harbour, nella Seconda Guerra Mondiale.
Per i russi, abituati in base ad una mentalità profondamente diversa dalla nostra a pianificare e realizzare i propri intendimenti sul lungo e lunghissimo periodo, i risultati di conquista ottenuti ad oggi possono essere in linea con quanto deciso a suo tempo: dieci anni fa hanno agito in Crimea, poi sono passati (tra alti e bassi), alle aree russofone della parte orientale dell’Ucraina, fra qualche anno, in funzione degli sviluppi di situazione, riprenderanno le iniziative a favore del completamento della “acquisizione” del restante territorio. La Russia ha sempre dimostrato di avere, in questi frangenti, tempo e pazienza. Due concetti totalmente alieni in rapporto alle modalità d’azione di noi occidentali. Di qui, la necessità di mettere un punto fermo nei rapporti con la Russia e ricominciare lo studio di una strategia politico e diplomatica comune dell'Occidente, che poggi sulla salvaguardia dell'indipendenza ucraina, con il massimo delle garanzie a Kiev. Alternative non ve ne sono, perché l'errore di fondo arriva da lontano.
Gli ucraini sono stati e si sono illusi, prima dai britannici, in primis da Boris Johnson, che hanno garantito una vittoria sul campo, impossibile, e poi dalle loro stesse istituzioni, che hanno propagandato l'illusione di poter sovvertire la realtà delle cose, scartando a priori la forza e il potere antichi della diplomazia. Il principio con il quale Zelensky ha portato il suo paese a combattere una guerra impari, cioè che non fosse accettabile alcuna cessione territoriale, conservando l'integrità dei suoi confini (senza peraltro lavorare per un compromesso dignitoso che rispettasse insieme alle esigenza di sicurezza dell'Ucraina anche quelle altrui), era e rimane semplicemente un'utopia. È come promulgare una norma che non ammetta (e contempli) la resa in un conflitto. Fosse così facile vincere una guerra non ci sarebbe stato per l'Italia l’8 settembre 1943, per esempio.
Sostituire la realtà con l’idea di piegare quella stessa alle proprie convinzioni è pericoloso ed in ambito militare trascina governi e popoli irrimediabilmente alla sconfitta. E se si persevera, alla disfatta. Ma l'Europa e l'Ucraina vive ancora in una bolla illusoria e il ritorno alla realtà sembra ancora lontano da venire.













































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