Ricordando Robert Redford
- Vice
- 16 set
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 18 set
L'addio ad un'icona del cinema americano
di Vice

Leggere ciò che è stato scritto all'indomani della sua morte o ascoltarne i commenti in radio e televisione è l'unica cosa che si può aggiungere alle proprie emozioni il giorno dopo la morte di Robert Redford. Perché con i suoi film scorrono anche pezzi importanti della nostra esistenza con domande che ci riportano a chiederci se non Come eravamo, per non scadere nell'ovvio, almeno il più facile "dove eravamo?" o il più delicato "con chi eravamo?", o il più complicato "che cosa provavamo?" nel seguire la cocciuta Katie Morosky, alias Barbra Streisand, e lasciare andare verso il conformismo Hubbell Gardiner, alias Robert Redford. Il tutto, dopo essersi immedesimati con tutti i pori della nostra pelle nella lotta contro il maccartismo, avversando con tutto noi stessi Joseph McCarthy, il senatore repubblicano, presidente della commissione per le attività antiamericane, che allora ci sembrava un demonio del passato, ma che oggi, al confronto dei demoni che avvelenano le coscienze del mondo, appare poco più di un incidente di percorso.
Non è mai scontato riuscire a fondere in un'unica figura la dimensione artistica con quella privata di un attore. Non lo era certamente per Robert Redford, personaggio poliedrico, discreto e, soprattutto riluttante a prestarsi ai divismi di Hollywood, "un signore inarrivabile, nella vita come sullo schermo, dove è stato tutto e tutti e sempre irresistibile, avventuroso, algido, passionale," come ha scritto oggi, 17 settembre, Massimiliano Castellani su l'Avvenire. A nostro avviso, lui c'è riuscito, offrendo l'opportunità di ricapitolare la sua vita da più angolazioni, ma riducendo il ventaglio delle sfaccettature, come si conviene a una persone riservata, quasi scegliendo in prima persona di chi parlare e di che cosa. In primis dell'amicizia: al presente, attraverso la voce e i sentimenti, non negati, di Jane Fonda, e al passato con gli aneddoti sul set del grande amico Paul Newman, nelle versioni di Butch Cassidy e Sundance Kid e La Stangata, film superlativi, ironici, esilaranti, in cui i protagonisti esprimono la capacità di esaltare gli interi cast.
Carismatico, affascinante, seduttivo, con quegli occhi azzurri e capelli biondi d'ordinanza irlandese che lo rendevano sì irresistibile, ma perché vero e autentico proprio in quel tutto e interpretando tutti, perfettamente in linea di coerenza con uno stile mai lezioso o sopra le righe: nella tenerezza, come in A piedi nudi nel parco con Jane Fonda, o nel ricorso alla forza per frenare il panico di una meravigliosa Faye Duneway, sua partner nel thriller politico I tre giorni del condor.
Convincente, come lo può essere un autentico e sincero democratico americano teso a migliorare il suo Paese, lo è stato nell'interpretazione di Tutti gli uomini del Presidente, fedele ricostruzione dell'inchiesta che portò allo scandalo Watergate, in cui dà volto a Bob Woodward, uno dei due giornalisti del Washington Post, a fianco di Dustin Hoffman nei panni di Carl Bernstein.
Mai incline al melodramma, anche in quelle storie d'amore la cui sceneggiatura e interpreti femminili si candidavano ad assottigliare pericolosamente il crinale tra emozione vera e costruzione dell'emozione, da La mia Africa con Meryl Streep a Il grande Gatsby e Qualcosa di personale accanto rispettivamente a Mia Farrow e Michele Pfeiffer e, soprattutto, al già richiamato Come eravamo, ma sempre capace di restituire l'intensità della passione che si deve a un rapporto affettivo.
Dall'esordio In punta di piedi (1960), non accreditato, all'ultimo film, un cameo in Avengers: Endgame (2019), e alle sue nove regie e otto pellicole da produttore, fondatore e animatore del Sundance Film Festival, passa una lunghissima stagione di successi in cui Robert Redford è stato aderente a sé stesso, reclamando che gli fosse riconosciuto di essere una voce indipendente e non condizionabile, anche quando sarebbe stato facile sfruttare la sua collocazione politica di democratico.
Di Ethan Hawke, attore e regista (quattro candidature agli Oscar) è il commiato che fa risplendere la grandezza di Robert Redford: “Ha usato la sua fama per promuovere il cambiamento. Ha usato la sua ricchezza per sostenere gli altri. Ha usato il suo cuore per ispirare. Ha usato la sua mente per creare." Magnifico.













































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