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Quando Gorbaciov salvò la pace


di Maurizio Jacopo Lami



«Qualche volta si può essere presi dalla tentazione di concludere ricordando che uno dei personaggi emblematici della letteratura occidentale è Amleto, l'eroe del dubbio, mentre significativo eroe per la letteratura russa è Mitija Karamazov, l'eroe della fatalità, della rassegnazione, del «nitchevò» (in russo significa «non importa, fa lo stesso» e viene usata con triste frequenza a riprova della capacità di sopportazione dei russi). Ma la tentazione viene respinta proprio in nome di Amleto, che diceva che tra il cielo e la terra vi sono più cose di quante mente umana possa immaginare. Perché negare all'URSS di Gorbaciov la speranza misteriosa che queste parole racchiudono?». Alberto Jacoviello «La Repubblica», 1° marzo 1988.



Comincio da un ricordo personale. Ero appoggiato con la schiena alla torretta del carro armato (credetemi non esiste nulla di più solido e rassicurante di un carro armato a motori spenti: ti dà l'impressione che un'intera montagna ti protegga da tutto), sporco e infangato fino all'inverosimile, e mentre guardavo la lunga colonna di corazzati, anch'essi perfettamente fermi, avevo in testa solo un pensiero: «Fatemi dormire. Poi chiedetemi tutto quello che volete nella vita, ma ora lasciatemi dormire». Poi avvenne qualcosa che davvero non mi aspettavo.


1991: tentativo di colpo di Stato a Mosca

Un caporale siciliano scese con un gran salto dal carro armato Leopard accanto. Mi stupii. Avevamo tutti vent'anni o poco più e di quell’età ricordo la comune noncuranza con cui avevamo affrontato un'esercitazione notturna coi carri armati del nostro reggimento, «i cavalleggeri di Lodi», per poi ritrovarci a non voler pensare a nulla, se non essere lasciati tranquilli e felici anche solo di respirare. Ma il caporale Riggi, palermitano sempre molto tranquillo, quella volta agitato. E stranamente cercava proprio me, un semplice cavalleggero di leva.

Mi alzai in piedi sulla parte superiore del corazzato e osservai perplesso la sua faccia agitatissima (mai successo nei sei mesi che ci conoscevamo e sei mesi di convivenza forzata fanno comprendere bene le persone) mentre esclama con alle spalle la lunga fila di carri armati, il miglior scenario possibile per la notizia che sta per darmi: u’ pigliaru Gorboff!! U’ pigliaru Gorboff!»

Per un attimo fu come se avesse parlato in assiro. Ero stanchissimo e con la testa lontana mille miglia, però a quei tempi, nell'estate del 1991, ero già giornalista e i miei compagni di leva lo sapevano. Vivevamo come in una bolla, e sentivamo pochissime notizie. Poi improvvisamente come un lampo: «E successo qualcosa a Gorbaciov in Russia?». Riggi era un tipo sveglio, ma non voleva assolutamente sentir parlare di politica. Ma quello che aveva appena sentito lo aveva colpito: «I tenenti parlavano fra loro. Dicevano che l'hanno preso e che i carri armati pattugliano Mosca». Fu un momento che non dimenticherò mai: quando sei su un carro armato con una divisa addosso e ti dicono che la nazione più grande del mondo sta muovendo i suoi infiniti carri armati ti sembra davvero che stia per finire tutto. Ma grazie a Dio tutto andò diversamente.

Perestrojka (riforme) e Glasnost (trasparenza)

Michael Gorbaciov in pochi anni, fra il 1985, quando a sorpresa era stato nominato segretario generale dell'URSS, e appunto il 1991, era riuscito a rivoluzionare tutto lo scenario, a permettere il più difficile dei miracoli: lasciar crollare un impero senza che si scatenasse un vero uragano di sangue. «Avrei potuto usare la forza per bloccare i rivoltosi. Si sarebbe scatenata l'Armata Rossa e bloccato le «rivoluzioni di velluto», ma che senso avrebbe avuto dal punto di vista politico? Sarebbe stata la fine di ogni riforma, il trionfo dei malvagi, la fine di ogni speranza. No, non sono pentito di non aver usato la forza nel 1989 contro i tedeschi e gli altri popoli dell'Est Europa: bisognava finalmente interrompere il circuito della repressione e creare un'era nuova, un'era di autentica pace, senza più blocchi ». Cosi spiegò anni dopo la sua decisione di non intervenire. Erano le parole meravigliose di uno statista di mentalità completamente nuova che aveva avuto il coraggio di affrontare la terribile crisi terminale dell'URSS con due grandi proposte: «Perestrojka» (riforme) e «Glasnost» (trasparenza).

L'Unione Sovietica nel 1985 era come un gigante dai piedi d'argilla, uno stato immenso con un esercito apparentemente invincibile. In realtà, era un impero al tramonto afflitto da un economia del tutto asfittica, con un burocrazia enorme e del tutto inefficiente, in grado solo di bloccare ogni iniziativa. Gorbaciov dopo Breznev e i suoi anziani successori, appare con la sua energia come l'imprevisto che può cambiare tutto e far sperare in un sistema nuovo. Scriveva Saverio Vertone in quegli anni: «pensare che la crisi attuale dell'URSS possa essere elusa, o anche solo sospesa, con il ritorno allo stalinismo, è una strana sottovalutazione di ciò che avviene. Lo stalinismo è stato un particolare miscuglio di terrore e di speranza. Oggi le speranze sono finite per sempre. Rimarrebbe solo il terrore. E il terrore da solo non basta. Nemmeno in URSS».

Le sfide sul terreno economico

Gorbaciov cercò di muovere l'economia sul bordo del collasso, di levare i suoi concittadini da una burocrazia che sembrava fatta apposta per bloccare ogni iniziativa. Si scontrò con mille problemi, il più grande dei quali fu subito evidente: non si può creare dal nulla una classe di imprenditori che accetti il rischio di agire in un sistema che in realtà si proclama ancora comunista, senza avere nessuna idea di come muoversi. La società sovietica garantiva piccoli privilegi, mille piccoli traffici che permettevano di arrangiarsi, in una parola tollerava in cambio di un tacito accordo: noi fingiamo di non vedere le ruberie, voi non contestate il sistema.

Nel momento in cui Gorbaciov, animato dalle migliori intenzioni, avviò le riforme, il vecchio sistema con le sue inefficienze, ma anche garanzie, saltò. I conservatori ancora adesso in Russia gli contestano di aver avuto troppa fretta, senza capire che non c'era davvero più tempo. Perfino Putin (notizia di poco fa) gli rende omaggio e sottolinea la difficoltà del suo compito: «Mikhail Gorbaciov ha dovuto affrontare grandi sfide in politica estera, nell'economia e nella sfera sociale, capiva profondamente che le riforme erano necessarie e cercava di proporre le proprie soluzioni a problemi scottanti».

Gorbaciov propose una «casa comune europea» agli esterrefatti occidentali. E gli stessi, abituati com'erano all'idea che il comunismo di marca sovietica fosse chiuso in se stesso, non riuscivano a concepire una proposta sincera di un sistema comune che superasse i blocchi. L'idea di Gorbaciov era generosa, come tutto in un uomo che davvero aveva il senso dello statista che non vuole solo gestire il potere ma cambiare davvero il corso degli eventi. Però la casa comune europea finì come le altre proposte, osteggiata da troppi che sospettavano un inganno e vittima anche di alcune incoerenze: per esempio, si poteva davvero fondere in un unico sistema paesi socialisti e paesi capitalisti?

Stretto tra conservatori e riformisti

Una parte dell'opinione pubblica occidentale lo sosteneva con autentico entusiasmo (mi capitò di leggere un articolo che cominciava così: «Ciclone Gorby ne ha fatta un'altra delle sue...», come se si parlasse di un compagno di scuola e non del capo dell'immensa URSS). Ma nel suo Paese le cose andavano ben diversamente. I conservatori lo dipingevano letteralmente come un traditore che stava distruggendo il socialismo; i riformisti al contrario lo accusavano di troppa timidezza nelle riforme. Lui però sempre energico e vitale, sembrava reggere ad ogni tempesta, e aveva iniziative che avrebbero avuto enormi riflessi nel futuro. Un esempio su tutti: fece l'accordo con il presidente statunitense Ronald Reagan che di fatto bloccò la corsa agli armamenti e chiuse la lunga stagione della Guerra fredda. Si oppose con vigore ad ogni tentativo di continuare la politica di accusare l'Occidente per ogni problema interno. Intanto la libertà, questa strana e meravigliosa cosa, si stava aggirando davvero per l'URSS e avrebbe messo fine all'egemonia dei Soviet: il genio era uscito dalla lampada. Gorbaciov permise che le lezioni fossero a più candidati, tolse la censura, fermò la repressione.

In quei giorni tumultuosi nacque la stella del successore di Gorbaciov, l'impetuoso Eltsin, uomo con grandi qualità e grandi difetti, che avrebbe difeso la libertà, ma anche permesso che la corruzione si diffondesse a livelli endemici. A partire dal 1989 divenne evidente che il sistema non avrebbe retto ai cambiamenti. Poco prima Reagan aveva pronunciato la famosa frase: «Mister Gorbaciov, abbatta questo Muro!» e i tedeschi dell'Est cominciarono a manifestare in maniera sempre più massiccia.

Il crollo del Muro di Berlino

Honecker, l'incontrastato segretario del Partito fratello della Germania dell'Est rifiutò tutti i cambiamenti proposti da Mosca («La glasnost è un grimaldello per abbattere le fortezze socialiste», disse), illudendosi di poter restare al potere. Ma erano cambiati i tempi, non si poteva più organizzare una repressione sanguinosa come in Polonia e in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968.

Dopo tanti decenni di dittatura il sistema sovietico ormai era logorato e in più l'influenza enorme dei mass media rendeva infinitamente più difficile la repressione. I tedeschi dell'Est osservavano plumbei e tristi parate militari del Regime, poi con un semplice cambio di canale vedevano le allegre pubblicità deella Coca Cola o dei jeans che a loro, costretti a una vita molto parca, facevano un effetto incredibile. Nel 1989 l'intero sistema collassò con una velocità e una facilità che riempì di entusiasmo tutti noi che assistevamo da Occidente: l'Europa tornava libera, unita e in pace. Poi, certo, c'era il timore delle tante conseguenze negative causate da cambiamenti così profondi, ma intanto l'entusiasmo di vivere un momento davvero storico (vedere cadere un impero e senza guerre) c'era tutto.

E il merito, l'immenso merito era di Gorbaciov. La sua frase più bella e piu carica di significato storico fu: «Ogni nazione deve seguire la sua sua strada». Poi il colpo di stato quasi farsesco nell'agosto 1991, che fallì miseramente e portò alla disgregazione dell'URSS. Gorbaciov aveva fallito nelle riforme ma era riuscito a chiudere la Guerra fredda senza spargimento di sangue.

Negli ultimi anni con Putin la Russia ha preso un'altra strada e il sogno sincero di poter vivere in un mondo non dominato solo dai rapporti di forza sta tragicamente svanendo. Ma per un breve e bellissimo attimo in un estate calda di tanti anni fa capimmo che non ci sarebbe stata guerra e che Gorbaciov ci aveva salvato. Il soldatino infangato di allora dà il suo omaggio qui per l'ultima volta al grande e coraggioso Gorbaciov.










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