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PUNTURE DI SPILLO. Quanto contano gli zero? Molto, se ci si spaventa

a cura di Pietro Terna

Siete sicuri di saper ben contare gli zero, quelle sequenze che rendono difficile copiare l’IBAN nostro o di qualcun altro nei moduli? Uno zero che manca o di troppo e il modulo è rifiutato o il pagamento non arriva. Eppure uno zero vale nulla! Forse è così che hanno pensato al Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti quando hanno portato il deficit (il disavanzo tra quanto esce e quanto entra nelle casse dello Stato) a un numerello formato da 17 seguito da 11 zero. Lo zero non conta nulla, ma a metterne così tanti in fila fa 1,7 trilioni (migliaia di miliardi), roba da far impallidire i 100 miliardi nostrani. Qui sono euro, là dollari, ma l’ordine di grandezza è quello. Da annotare: il deficit USA è raddoppiato nel 2023.[1]


Multinazionali all'assalto...dell'evasione fiscale

Il debito[2] USA arriva a 33 trilioni (qui gli zero sono 12). C’è anche un’altra cifra con tanti zero da tenere d’occhio: le multinazionali evadono[3] un trilione l’anno su scala planetaria. Non è una grandezza collegata direttamente alle altre qui riportate, ma alla lunga sì. Ogni forma di evasione fiscale riduce le entrate e contemporaneamente l’attività che evade provoca spesa pubblica, non fosse che per la difesa dell’ambiente e per la manutenzione delle infrastrutture al servizio di quella produzione.

Dipartimento Tesoro Usa

È la guerra degli zero. Numeri che fanno impallidire i nostri dati con il deficit a 100 miliardi e il debito intorno a 2800. Un diciassettesimo il deficit e un dodicesimo il debito rispetto agli Stati Uniti; in termini di popolazione siamo un po’ meno di un sesto, quindi per essere come loro potremmo raddoppiare il debito e triplicare il deficit. Il Giappone, che non è il colosso USA, ha un debito di oltre 9 trilioni di dollari, con una popolazione che il doppio della nostra, quindi in una situazione di indebitamento ben più grande della nostra. Perché allora tremiamo quando stanno per pronunciarsi le agenzie di rating[4] come Fitch, S&P o Moody’s? Cerchiamo di capirlo con una analisi in sei passaggi.

La forza (relativa) del Giappone è data dal fatto che il suo debito pubblico è quasi interamente posseduto da creditori interni tra i quali, quasi al 50%, la banca centrale giapponese. Il debito posseduto dalla banca centrale è come sterilizzato, sta lì quieto, salvo fruttare interessi per il creditore: è il signoraggio dei giorni nostri, con buona pace di tutti quelli che impazzano sul web immaginando che il signoraggio sia la creazione di moneta, come dicono loro, dal nulla.

La forza degli Stati Unit è data dalla loro economia ricca di innovazione e, mi si perdoni la semplificazione, dalle portaerei che vediamo nel Mediterraneo in questi giorni di guerra. Così possono vendere il proprio debito pubblico al mondo intero. Si sa che quando il debito diventa grandissimo non è più un problema del debitore, ma del creditore, che deve accudire e sostenere il debitore per non perdere la speranza di riavere i propri soldi, a dispetto di Fitch, S&P e compagnia cantando.

E noi? Attenzione: noi non siamo l’Italia, o l’italietta, siamo l’Europa! Il debito pubblico italiano è in gran parte in mani nazionali o europee, con la Banca Centrale Europea che, grazie a Draghi quando ne era presidente e all’onda lunga che ha lasciato, ne è/era grandissimo detentore. Era, perché il clima è cambiato e di tutto sembrano essersi occupati i nostri reggitori tranne preservare quella condizione di sicurezza. Certo se ne è occupata la Banca d’Italia, con Visco e Panetta, ma è il governo che deve portare il proprio peso ai tavoli decisionali.

Il potpourri delle società di rating

E allora, quanto valgono, a che cosa servono, i giudizi delle società che emettono rating? A parte la discutibilità delle loro valutazioni, che sembrano potpourri non riuscitissimi di articoli economici della stampa internazionale, valgono se sono seguiti: sono seguiti tanto più quanto è maggiore il desiderio di fare decidere un altro, di non prendersi responsabilità. E allora, siamo tutti succubi? No, se siamo l’Europa o se siamo gli Stati Uniti, con la segretaria del Tesoro Yellen che ha preso a calci[5] Fitch ad agosto, riportando[6] nel sito web del ministero il suo giudizio su di loro: «The change by Fitch Ratings announced today is arbitrary and based on outdated data».

Tutto semplice allora? E il grande spauracchio dell’inflazione? L’inflazione è arrivata – e ora se ne sta andando, guerre permettendo – perché i grandi produttori non era pronti alla ripresa post Covid. Immaginavano, come quasi sempre accade nelle decisioni delle aziende grandi e grandissime, che le cose proseguissero come sono: bene se bene, male se male. L’inflazione si manifesta se mancano i prodotti, oppure se i costi per produrre aumentano o ancora se si gonfia la domanda. Negli Stati Uniti esiste un esercito di poveri che non aumentano la loro capacità di spesa se il governo assicura grandi flussi di fatturato alle cosiddette big pharma per i vaccini o ai produttori di armi per alimentare i belligeranti. E i ricchi non hanno tantissimo modo di spendere ancora di più.

Ma, ultimo passettino del ragionamento, che fare noi Italia se non sappiamo farci valere ai tavoli dell’Europa? Proviamo intanto a lavorare di fioretto: interessantissima l’analisi dell’ufficio Parlamentare di Bilancio nella recente audizione[7] presso le Commissioni Bilancio della Camera e del Senato, riunite in seduta congiunta per l’esame delle proposte legislative in materia di riforma della governance dell’Unione europea. E iniziamo anche a rivedere il nostro sistema di entrate e spese: su questo tema rimando allo spillo[8] di inizio ottobre.

Ho terrificato i lettori con gli zero? Chiediamo al Mastro degli spilli di aiutarci con la musica. Ci dice che in natura esistono le quantità e abbiamo creato i numeri per rappresentarle. In quanto invenzione umana solo apparentemente oggettiva, sono ingannevoli e cambiano a seconda del contesto (verrebbe da dire che ce ne serviamo ciascuno per i propri scopi). Nella roulette lo 0 è un’avversità: perdono tutti tranne il banco. Aggiunto come cifra è un moltiplicatore: c’è chi perde e chi guadagna. Tremiamo davanti a Fitch o S&P perché credono di essere i detentori del significato ultimo dei numeri. Ai numeri Gianmaria Testa e Rita Marcotulli hanno dedicato un pezzo[9] contenuto nel disco Koiné del 2002. I numeri misurano il trascorrere del tempo: sono “il conto delle possibilità” e il battito che regola il ritmo della musica e della vita. Meglio ballare.


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