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Osservando i nostri tempi

Educare è chiamare i giovani alla riscossa

di Domenico Cravero


Altre tre vite spezzate. Sono quelle di Salvatore Turdo, Andrea Miceli e Massimo Pirozzo, poco più che ventenni, a Monreale. Violenze mortali che continuano a ripetersi, spesso per futili motivi. Ogni volta ci sentiamo toccati perché ogni forma di violenza è sempre un fallimento che riguarda tutti. Dice il raffreddamento dei legami, avvantaggia l'avanzare dell'indifferenza che diffonde solitudine e rassegnazione. Ogni volta ci chiediamo: "Che cosa possiamo fare?". Non ci fissiamo a Monreale; partiamo da noi. Possiamo capire meglio ciò che succede, allargare i nostri legami, favorire l’incontro intergenerazionale. La fatica insostenibile della nuova giovinezza, infatti, è crescere senza iniziazione, vivere senza riconoscimento.

I giovani italiani sono potenziali poveri perché entrano nel mondo del lavoro più tardi e guadagnano meno che altrove. Il loro svantaggio sociale assume forme diverse e molteplici: esclusione dal reddito, dal mercato del lavoro, dalla prestazione dei servizi e dalle relazioni sociali. Gli adulti guadagnano in Italia mediamente 2,8 volte più dei giovani. Le nuove generazioni dovranno affrontare sfide impegnative, gravati da un debito pubblico abnorme, in un mercato del lavoro più concorrenziale e instabile. Saranno costretti a lavorare fino a un’età più elevata e dovranno affrontare la realtà della denatalità.

I giovani sono diventati più poveri, dipendenti dalle famiglie, immobili, smarriti. Nell’esclusione, i giovani diventano apatici, vivono la loro situazione come un destino individuale (e non come una condizione collettiva), al quale è possibile sfuggire solo nella buona sorte personale (o con la rabbia violenta). Aumenta di conseguenza la frustrazione e la sfiducia generalizzata verso le istituzioni. La loro “invisibilità”, l’afasia cognitiva ed emozionale, limita la capacità di esprimere i talenti, di esporre le risorse, di raccontare pubblicamente il disagio, di difendere i giusti diritti di cittadinanza. È importante che i giovani prendano parola nelle istituzioni, nei pubblici dibattiti, nelle chiese. Forse potrebbero dire poco di sé, essendo diventati silenti (non riconosciuti). Si possono però convincere i ragazzi di quanto la loro esistenza sia preziosa e di quanto le loro competenze siano necessarie. Si può facilitare la loro espressione e le loro azioni.

Il diritto è il riconoscimento pubblico che previene e difende gli individui dall’umiliazione della loro dignità di persone. Ci sono diritti sociali, improntati a eliminare le disuguaglianze tra i cittadini, dove l’obiettivo è avere nel modo più ugualitario possibile l’accesso a beni essenziali come la salute, la sicurezza, l’educazione, la protezione dell’infanzia e della vecchiaia. Sono evidenti la difformità tra eguaglianza dei diritti e disuguaglianza nei fatti, e la contraddizione tra attribuzioni di diritti e distribuzione dei beni. Le persone si sentono tradite quando sono private di quanto era stato definito come appartenente a tutti.

Educare, nell’attuale situazione del paese, è chiamare i giovani alla riscossa. È necessario dunque un sussulto, un impulso di vita per riattivare il protagonismo giovanile, per liberare le energie inespresse e per ricuperare i sogni perduti. La riscossa giovanile inizia con l’espressione di sé: “Io ci sono; mi metto in gioco”. Occorre partire da dove è più difficile: frequentare i giovani, offrire loro spazi e risorse per l’auto-espressione dei loro talenti e ammirare gli esiti delle loro genialità. Organizzare la speranza significa calarsi nella loro estraneità per individuare e stimolare possibili azioni intergenerazionali. È necessario andare oltre a quella strana patina, quasi una radiazione malinconica di anaffettività, che gli intellettuali spesso osservano nei giovani, per immaginare mondi possibili da costruire insieme. Il distacco, l’impressione di vivere in un mondo a parte, che gli adolescenti a volte trasmettono è piuttosto la conseguenza dell’incomunicabilità che si è instaurata.

Le società si rinnovano con il contributo indispensabile delle nuove generazioni. Bisogna cogliere queste innovazioni. La più importante di esse è la presentazione pubblica di sé, attraverso i media e la socializzazione informale. Possono connettersi, raccontarsi ed esibirsi, come mai in precedenza era possibile fare. Esprimendosi si sviluppa il pensiero e dalla riflessione scaturisce la creatività dei talenti e l’azione protagonista. La circolarità delle reti (l’essere costantemente connessi) è compensata dalla ripetizione dei riti della socializzazione e della cultura, che permette ai giovani di riempire il vuoto del riconoscimento, di ritrovare il tempo della creatività. Sono importanti i rituali che essi creano, l’immaginario che sviluppano, i codici che inventano. Hanno valore le loro vicende esistenziali. A. Sen e M. Nussbaum hanno evidenziato che le più importanti risorse disponibili sono le capacità personali. Le nuove generazioni ne sono particolarmente attrezzate. È triste che la loro capacità creativa sia così trascurata o rimossa dalla rappresentazioni attuali dell’adolescenza. Occorre osare scelte coraggiose, partendo dai territori.

 

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