PUNTURE DI SPILLO. Non fermiamoci alla "paura" per l'IA
Aggiornamento: 23 mag
a cura di Pietro Terna
Commentando l’incontro del 14 maggio tra Usa e Cina sull’IA a Ginevra, una fonte dell’amministrazione USA ha affermato: «più che dei risultati concreti ci aspettiamo uno scambio di punti di vista sui rischi tecnici e un’opportunità di comunicare sulle aree di rispettiva preoccupazione». Molto incoraggiante per il cittadino comune. Ma di che cosa parlano? Del dottor Stranamore,[1] l’indimenticabile film di Stanley Kubrick con Peter Sellers che recita addirittura tre parti e con il generale pazzo che cavalca la Bomba? Oppure di unire gli sforzi della ricerca per ben indirizzare l’Intelligenza Artificiale al servizio dell’umanità? Ho paura di sapere la risposta.
Guardando in casa, nel documento «Il ruolo delle Emerging Disruptive Technology nel conflitto russo-ucraino e nel bipolarismo NATO-Russia» di 110 pagine,[2] chiuso a agosto 2023, si discute de «L’Intelligenza artificiale e i LAWS (Lethal Autonomous Weapon Systems, Sistemi d'arma autonomi letali), un rischio per la deterrenza nucleare»? Brrr, mi fermo e mi auguro che il colonnello Michele Corrado, una delle firme della Porta di Vetro, mi rassicuri.
Intelligenza artificiale: siamo ben oltre la fantascienza...
Se guardo al campo civile, non è che manchino i motivi di inquietudine, a iniziare dal settore della gestione del personale. Mi ha colpito un articolo del Wall Street Journal, pubblicato il 10 maggio, intitolato[3] «Combattere l'intelligenza artificiale con l'intelligenza artificiale: I bot stanno distruggendo Selezione del personale», con inizio: «Le persone in cerca di lavoro, frustrate dai software aziendali per le assunzioni, utilizzano l'intelligenza artificiale per creare lettere di presentazione e curriculum in pochi secondi, e utilizzano nuovi bot automatizzati per fare robo-application per centinaia di posti di lavoro in pochi clic. In risposta, le aziende stanno impiegando un maggior numero di bot per smistare gli oceani di candidature. Il risultato: una guerra di bot contro bot che sta lasciando irritati sia i candidati sia i datori di lavoro e ha reso le possibilità di ottenere un colloquio, e ancor meno un lavoro, ancora più scarse di prima».
Ma allora, perché tanto spesso scrivo in modo positivo di ChatGPT e dei suoi cugini? Provo a spiegare la mia scelta ricorrendo a un lavoro[4] del 2023 dello studioso Terry Sejnowsky.[5] L’abstract vale già da solo moltissimo (mia traduzione e sintesi): «I modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM, Large Language Model) sono modelli pre-addestrati che possono essere adattati a un'ampia gamma di compiti del linguaggio naturale. Vi è stata un'ampia gamma di reazioni e dibattiti sul fatto che questi LLM capiscano ciò che dicono o mostrino segni di intelligenza. Ciò che appare come intelligenza nelle LLM potrebbe essere in realtà uno specchio che riflette l'intelligenza dell'intervistatore, un notevole colpo di scena che potrebbe essere considerato un test di Turing[6] al contrario. Se così fosse, studiando le interviste, potremmo imparare più sull'intelligenza e sulle convinzioni dell'intervistatore che sull'intelligenza delle LLM. Man mano che le LLM diventano più capaci, potrebbero trasformare il modo in cui interagiamo con le macchine e come queste interagiscono tra loro. [Nell’articolo] Viene delineata una tabella di marcia per raggiungere l'autonomia generale artificiale, con sette miglioramenti principali ispirati ai sistemi cerebrali e come i LLM potrebbero a loro volta essere utilizzati per scoprire nuove conoscenze sul funzionamento del cervello».
Non generiamo ansia attorno ai LLM
Dall’artificiale al naturale, dunque, con la sorprendente scoperta che un meccanismo costruito per formulare frasi con la ricerca della prossima parola, concatenandola con le precedenti in modo probabilistico, riesca a produrre contenuti interessanti, talora sorprendenti, dialogando su qualsiasi argomento. Che ci stia avvicinando alle radici del linguaggio? E che linguaggio e pensiero siano più ancor più intrinsecamente connessi di quanto si è sempre pensato?
Se questo è il contenuto, perché tanta paura aleggia intorno all’argomento IA, ad iniziare dall’incontro di Ginevra, citato all’inizio? Impossibile che si affidi la gestione di un conflitto nucleare a una macchina che sa ben formulare frasi sensate, ma non ha alcuna contezza di sé e soprattutto del Mondo. Il futuro può aprire molte altre strade, positive o negative, ma non confondiamo lo strumento LLM con la macchina che soppianterà la nostra volontà e ci renderà schiavi (e poi ci sono già stati tanti che ci hanno provato e quasi ci sono riusciti). Di intelligenza artificiale si discute da decenni, ma l’argomento sta tenendo banco solo in questi ultimi due anni, per i risultati sorprendenti, ma assai circoscritti, dei LLM: non generiamo troppa ansia intorno a quella novità linguistica.
Pasolini, Totò, Modugno e Django Reinhardt
Il baccelliere di musica – esiste veramente, una persona in carne ed ossa, non un LLM – commenta che giriamo intorno al bene e al male dell’IA. Questa volta parliamo di nuvole: le nuvole sono molto distanti da ChatGPT, ma messe una dietro l’altra ci dicono qualcosa, del tempo, dell’umore, dei tempi. Che cosa sono le nuvole? Se lo chiedeva Pasolini in un poetico episodio di Capriccio italiano. Due marionette buttate via, Totò e Ninetto Davoli, vedono nelle nuvole la straziante bellezza del creato. Domenico Modugno le accompagna con una canzone altrettanto straziante, su testo dello stesso Pasolini (mutuato da Shakespeare).[7] Da ascoltare guardando le nuvole che vanno e vengono. C’era poi un chitarrista di nome Django Reinhardt (nella foto). Era nato in Belgio nel 1910, sulla carovana in cui viveva la sua famiglia. Era gitano. Da ragazzo sulla sua roulotte era stato vittima di un incendio spaventoso. La mano sinistra era stata ustionata e mignolo e anulare erano rimasti atrofizzati. Un incidente del genere poteva essere la pietra tombale sulla carriera di un chitarrista. Django però superò il limite fisico. Sviluppò una tecnica incredibile, suonando praticamente solo con due dita della mano sinistra. E soprattutto portò nel jazz una dimensione veramente europea. Formò insieme a Stéphane Grappelli il Quintette du Hot Club Jazz de France, con il quale, fra gli anni ‘30 e ‘40 incantò la Ville Lumière. Morì ancora giovane, non senza aver dialogato con i maestri dello swing, come Duke Ellington, e quelli del bebop, come Charlie Parker. Uno dei suoi brani più noti è Nuages.[8] Nuvole anche qui. Questa volta da ascoltare ad occhi chiusi, immaginandosele.
Note
[2] https://www.difesa.it/assets/allegati/38313/8_gdl_25_issmi_as_sma_02.pdf, autori: Centro Alti Studi per la Difesa (https://www.difesa.it/smd/casd/index/26451.html) e Istituto di Ricerca e Analisi della Difesa (https://irad.difesa.it).
[3] ‘You’re Fighting AI With AI’: Bots Are Breaking the Hiring Process,
[4] T. J. Sejnowski. Large Language Models and the Reverse Turing Test. Neural Computation, 35, 2023, https://papers.cnl.salk.edu/PDFs/Large%20Language%20Models%20and%20the%20Reverse%20Turing%20Test%202023-4640.pdf
Commenti