Per passione, non solo musica e parole...
- il Baccelliere
- 1 apr
- Tempo di lettura: 2 min
Un pensiero dedicato a Massimo Mila
a cura del Baccelliere

Volevo essere Mila. Mi scuso per la parafrasi sanremese, ma questa è la realtà. Perché Massimo Mila è stato molte cose. Innanzitutto uno dei più importanti critici musicali e musicologi del Novecento, ma con una vita ricchissima. Si era laureato in Lettere nel 1931 a ventuno anni, con una tesi sul melodramma di Verdi, che Benedetto Croce in persona avrebbe fatto pubblicare da Laterza.
Antifascista, nel 1935 fu condannato a sette anni di prigione per cospirazione. Uscito grazie all’amnistia del 1940, partecipò alla Resistenza come comandante partigiano in Valsangone nelle formazioni di GL. Era profondamente torinese, azionista, accademico del CAI. Non marxista, ma “crociano puro e fedelissimo”, chiese di assumere il compito di critico musicale sulle pagine dell’Unità edizione piemontese e lì scrisse per circa vent’anni. Fu traduttore dal tedesco, attivista politico, docente al Conservatorio e all’Università.
Intrattenne rapporti con grandi musicisti del Novecento, da Nono e Dallapiccola (di cui fu amico) ad Abbado, Berio e Boulez. Ma anche con protagonisti delle vicende intellettuali e politiche del nostro paese, a cominciare da Cesare Pavese, con cui condivise le vicende della nascita della casa editrice Einaudi, e poi Franco Antonicelli, Norberto Bobbio, Umberto Eco. Un intellettuale, autore di profonde riflessioni sul ruolo della musica nella società democratica (non solo musica e parole).
Ma il motivo per cui chi scrive è grato a Massimo Mila è più specifico e ha a che fare con il rapporto con la musica e con il peso che questa ha nella storia, del mondo e delle persone. Per la formazione all’ascolto della generazione cresciuta fra gli anni ‘70 e ‘80, all’inizio ci fu il rock, quello più classico, prima Dylan, Beatles e Rolling Stones, poi Led Zeppelin e Pink Floyd. Parallelamente ci fu il soul di Otis Redding e Stevie Wonder, che aprì le porte alla musica nera e al jazz.
Eravamo anche interessati alla musica colta. Ci piacevano il ‘900, i francesi come Ravel e Debussy e Schoenberg. Quest’ultimo, soprattutto perché ci dava la sensazione che ci fosse sempre un lato nuovo da cui guardare le cose.
Riservavamo un certo snobismo a Verdi e al melodramma. Ci pareva troppo popolare. Per capire quanto questo atteggiamento fosse superficiale, leggere Massimo Mila fu decisivo. Grazie a lui la forza, la potenza e la coralità di Verdi furono chiare[1]. Una lezione su quanto conti capire per formarsi opinioni.
Un aneddoto su Mila è stato riferito da Alessandro Baricco. A Torino lo si incontrava spesso ai concerti. Non aveva l’atteggiamento del critico con il taccuino, pronto a sottolineare eventuali pecche. Era spesso accompagnato. Sorrideva. Sembrava intenzionato a godersi lo spettacolo. Il giorno dopo, sulla Stampa, si leggevano i suoi resoconti. Le sue riflessioni erano acute e raccontavano quanto meravigliosa fosse stata la musica in quella serata. Una ragione di più per aspirare ad essere Mila.
Note
[1] Ascoltiamo per rendercene conto O signore dal tetto natio uno dei più raffinati corali verdiani https://youtu.be/zEUIKITT4lo?si=diOFrL2kW4PiMH1i













































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