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Per passione, non solo musica e parole...

Il piacere di scoprire Italia attraverso Till Brönner

a cura del Baccelliere


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Il tema della rubrica di questa settimana ha a che fare con l’idea che hanno all’estero di noi italiani. Non so se sia un tema appassionante e neanche se sia una questione così fondamentale in un mondo come questo. Ma anche questo è un segno di evoluzione.

Molti anni fa - eravamo intorno alle metà degli anni ‘80 - la rivista statunitense Down beat dedicò per la prima volta un ampio excursus ai jazzisti italiani. Si trattava della generazione di mezzo, quella di Enrico Rava e Gianluigi Trovesi. Con una certa perfidia, l’autore della rassegna mostrava più di uno stupore nel constatare come i protagonisti della scena del nostro paese non fossero “novelli Caruso” ma musicisti che, pur non rinunciando a caratteristiche melodiche insite nella propria cultura, avevano uno spiccato profilo jazzistico.

Una recente uscita discografica intitolata Italia, opera del trombettista tedesco Till Brönner, ci rimanda al tema. Brönner è un musicista jazz moderno. In lui si avvertono echi molteplici che vanno da Chet Baker a Dizzy Gillespie, da Charlie Parker a Louis Armstrong. In Germania, dove è nato nel 1971, in Europa e negli Stati Uniti è un solista molto apprezzato, capace di muoversi fra la fusion e il bebop come fra il canto e la tromba.

Il lavoro di Brönner è uno stralcio della visione che della musica italiana ha oggi un musicista straniero. Inciso fra Roma e Bari fra l’autunno 2024 e la primavera 2025, Italia raccoglie una nutrita schiera di interpreti del nostro paese e altrettanti solisti internazionali. Da Mario Biondi a Nicola Conte, da Ameen Saleem a Karrin Mickiewicz. A costituire il tratto distintivo del lavoro di Brönner è il repertorio. Ci sono Lucio Battisti - Amarsi un po’ - e Paolo Conte - Via con me. Il meglio di certo cantautorato nostrano. Ma anche brani da classifica come Quando quando quando e la gloriosa L’appuntamento.

Brönner rielabora e recupera modernizzando i suoni. Si scoprono un groove contemporaneo e ritmi africaneggianti. Numerose voci - oltre al già citato Biondi, Chiara Civello e lo stesso leader, fra gli altri - si alternano. C’è un’alchimia speciale. Si apprezza la raffinatezza degli arrangiamenti, il cui onere Brönner ha diviso con il saxofonista svedese Magnus Lindgren. La melodia è trattata con grazia e gli interventi dal sapore jazzistico dei solisti si inseriscono con naturalezza.

Si può dire che l’idea che hanno di noi italiani all’estero, al di là dello spread, sia diversa rispetto a quarant’anni fa. In questa dimensione Italia non rappresenta un esercizio di memoria ma uno sforzo di attualità. Accostare il passato al presente è un processo di preparazione al futuro.

Il disco si chiude con una delle più romantiche e malinconiche canzoni del songbook italiano, Arrivederci[1], di Umberto Bindi. I meriti di Bindi, autore di grande musicalità, non sempre sono stati riconosciuti in pieno: in questo caso la sua sensibilità trova nel sound di Brönner la giusta dimensione.


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