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Per passione, non solo musica e parole...

Il fascino del pianoforte sulle note di Fred Hersch


a cura del Baccelliere


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Tanti anni fa Francesco Baccini, cantautore genovese della generazione di mezzo, cantava Il pianoforte non è il mio forte[1]. Al di là delle ironiche manifestazioni di umiltà – di consapevolezza – del personaggio, occorre dire che il pianoforte è invece la forza della musica. Lo strumento universale. Quello in cui tutti mettono le mani ma dal quale solo alcuni artisti meravigliosi sanno ricavare musica altrettanto meravigliosa.

Per gli appassionati del pianoforte – o della musica in generale, che forse è lo stesso – c’è da segnalare un’uscita recente di notevole livello, l’ultimo album di Fred Hersch, The surrounding garden, pubblicato a inizio luglio dall’etichetta ECM. Fred Hersch, nativo di Cincinnati, è uno dei più apprezzati pianisti in attività. Prossimo ai settant’anni – li compirà a inizio ottobre – ha attraversato gli ultimi quaranta scandagliando le possibilità del proprio strumento che ha praticato principalmente nella dimensione del trio e in quella del solo. Fred Hersch ha la capacità di muoversi ai confini della tonalità, in&out, mantenendo un forte gusto melodico e una squisita personalità.

Il disco recente è stato realizzato in trio, formula fra le più usate e impegnative del piano jazz. Impegnativa, in quanto sollecita confronti con la storia, da Bill Evans a Paul Bley fino a Keith Jarrett, passando per Ahmad Jamal e Abdullah Ibrahim e per Chick Corea e Herbie Hancock. Il moderno piano trio è una formazione paritaria, in cui i ruoli – solista e accompagnatori – si confondono e si mescolano. La musica trae ispirazione dall’ascolto reciproco degli esecutori. Il concetto di interplay[2] è alla base dell’interazione fra i musicisti.

In questa tradizione, Hersch si inserisce come un romantico rapsodico. Ama lasciarsi coinvolgere. La sua è una musica asciutta ma carica di implicazioni emotive. In questo disco è accompagnato da compagni di vecchia data, il bassista Drew Gress e il batterista Joey Baron, che sono spiriti a lui affini. Il repertorio rende più di un omaggio a musicisti per certi versi leggendari, da Ornette Coleman – la poco battuta Law Years – a Charlie Haden – la tenue First Song. Troviamo Gershwin – Embraceable You – e lo stesso Hersch – la rubata e ricca Plainsong.

Se dovessimo suggerire un brano da cui partire, propenderemmo per Palaço[3], del chitarrista e pianista brasiliano Egberto Gismondi, che contiene il senso ultimo della poetica di Hersch, che accosta lo spirito di avventura ad una prudente inclinazione anti-esibizionista. A ben vedere gli echi di uno spirito neo-epicureo.


Note

[2] Il termine è anche il titolo di una composizione di Bill Evans https://youtu.be/nJnnJ49vNQo?feature=shared

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