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Osservando i nostri tempi

La perdita della vergogna e le sue conseguenze

di Domenico Cravero


Le acute analisi di Bernard Stiegler hanno denunciato la “miseria affettiva” delle nuove generazioni, native digitali, e la povertà simbolica e spirituale che ne consegue. L’autore chiamava “proletarizzazione” la distruzione e la perdita dei saperi, non soltanto di quelli astratti, che si apprendono nella socializzazione scolastica, ma più radicalmente dei saperi elementari (il saper vivere, il saper educare) che è necessario conoscere per accedere alla condizione umana. Le industrie culturali sfruttano invece le pulsioni nella gratificazione istantanea emozionale e lo “stupore” delle innovazioni tecnologiche. Questo sfruttamento conduce però alla distruzione del desiderio, e allo “istupidimento” che fa anche degli adulti dei “rimbambiniti”, individui solitari che hanno sempre meno desiderio e sempre più pulsioni.

Nel mondo virtuale tuttavia non si riproduce la realtà, ma semplicemente si crea un mondo parallelo in cui il sistema nervoso può operare tramite il controllo di nuove protesi e interfacce. Questa sfida presuppone e incrementa un nuovo modo di sentire se stessi e gli altri, attraverso codici comunicativi mai prima sperimentati, affascinanti e insieme inquietanti, dagli esiti ambivalenti. Possono svilupparsi pratiche di condivisione e di contribuzione prima inimmaginate, dove collaborare conviene più che competere. Possono cambiare gli stili di pensiero e il modo di lavorare, la concezione dell’economia e del lavoro. Può evolvere il modo di progettazione e di abitare il sociale, poiché le tecnologie permettono di attivare processi agili, snelli, intelligenti. Può cambiare il processo democratico poiché nella società connessa sono possibili nuove modalità di partecipazione e di cooperazione.

Il rischio più evidente, invece, consiste nella perdita dell’esperienza diretta e reale per l’eccesso dell’esperienza virtuale e il continuo flusso emozionale. Sta avvenendo quanto già negli anni ’70, scriveva G. Agamben: “L’uomo contemporaneo è stato espropriato della sua esperienza: anzi, l’incapacità di fare e trasmettere esperienze” (Infanzia e storia p. 5). Le persone sono sature di stimoli e d’interessi ma avvertono che è stata loro sottratta la presa diretta con la vita. La difficile costruzione dell'identità personale, che da sempre costituisce la fatica di ogni generazione che si affaccia all'età adulta, liberata dai vincoli e slegata dalle appartenenze, sembra ridursi a un puro gioco (A. Melucci), a un esperimento accidentale. In questa condizione di impoverimento simbolico e di perdita del piacere di vivere crescono le patologie mentali in età evolutiva e s’inserisce come ingannevole soluzione la tentazione della modificazione artificiale dello stato mentale.

Sono evidenti i segni del crollo personale e sociale di questi esiti della delusione giovanile. La ricerca sociale internazionale li descrive con concetti e parole evocative quanto drammatiche. Lo sfocamento del senso del giusto (shamelessness) è la conseguenza della perdita della volontà decisionale. Si fugge dalle responsabilità, si diventa incapaci di durata, si rimandano le decisioni importanti, in un’accentuata pulsione a essere senza tregua altrove (restlessness). Si perde il controllo di sé, si svuota l’interiorità emozionale di ogni partecipazione (thoughtlessness). Si scavano il vuoto, la perdita generazionale, lo sradicamento sociale (purposelessness).

Comune alle diverse condizioni è lo stato permanente (-ness) di vuoto (-less). Questo stato d’inazione (-lessness) è particolarmente diffuso in Italia, forse perché più profondo è stato il disorientamento educativo, più antico il disinteresse politico. Più lunga è anche la crisi economica e sociale, il tunnel della mancanza di prospettive. Le quattro parole (soprattutto la perdita della vergogna) i giovani le imparano dagli adulti, le vedono nella vita politica e nelle sue controtestimonianze. Ne deriva la penosa sensazione di non aver presa sul presente, di non contare nulla. 

I sogni delle giovinezza però non tramontano. La giovinezza è una potenza. Insieme, le generazioni possono organizzare la speranza e ritornare attive.

 

 

 

 

 

 

 

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