Osservando i nostri tempi
- Domenico Cravero
- 24 giu
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 2 lug
L’educazione sessuale è la prima scuola di cittadinanza e socialità
di Domenico Cravero

La sessualità è un linguaggio che va imparato, affinato, approfondito, con un impegno che dura tutta la vita. C’è dunque un’educazione sessuale nella condizione adulta e una per l’età evolutiva, con possibili punti di incontro e condivisione. Al tempo della non raggiunta parità e del femminicidio s’impongono nuove priorità e urgenze che rendono insufficiente la sola informazione scientifica, pur necessaria. Non basta infatti spiegare, occorre costruire un costume di intesa e di rispetto. Neppure è utile un’esposizione solo frontale delle tematiche sessuali ed erotiche da parte di esperti. Serve un vero apprendimento laboratoriale per acquisire abilità e capacità, e correggere linguaggi e comportamenti errati o non funzionali.
La prima competenza riguarda la correttezza del linguaggio con cui si trattano i temi delle scelte affettive e del genere. Le parole usate dovranno essere sempre inclusive e non favorire nuove stereotipie e perduranti esclusioni. Il linguaggio dovrà considerare le differenze e affermare il valore di ogni persona, prima e indipendentemente dagli aggettivi con cui esse possono essere descritte. La comunicazione si sforzerà inoltre di essere autocritica nei confronti delle proprie preferenze, soggettive e inconsapevoli, spesso neppure avvertite.
La comunicazione sui diversi temi della sessualità dovrà poi essere efficace, cioè coinvolgente, poiché dalla loro comprensione dipendono le valutazioni e i giudizi che le persone formulano e diffondono. La comunicazione efficace sa instaurare sia relazioni simmetriche, quelle che insistono sul confronto paritario e sanno esprimere anche il dissenso, sia relazioni complementari, quelle che cercano il confronto delle esperienze e le valorizzano.
Efficace è soprattutto la comunicazione che usa un vocabolario appropriato per nominare le emozioni, collocandole nel giusto contesto. È richiesto un lungo esercizio per imparare a esprimersi, alternando la persuasione alla critica costruttiva, formulando anche giudizi etici riguardo azioni e comportamenti ma mai sulle persone. In alcuni casi, per rispettare e amare se stessi, occorre saper dire no a richieste inadeguate, affrontare la fine di una relazione, senza sparire nel nulla, o comunicare in modo coerente che i sentimenti sono cambiati. Ci sono stili diversi di comunicazioni: fare complimenti, essere romantici, mantenersi empatici, assertivi e coerenti, oppure fare osservazioni critiche, senza offendere e umiliare o anche accettare di mettersi da parte. Alcune comunicazioni poi avvengono in pubblico, altre sono private e devono garantire la privacy. Sono competenze che si acquisiscono solo con l’esercizio, con il role playing e la simulazione, nei gruppi di formazione.
Il più difficile compito dello sviluppo, nell’età evolutiva, consiste nell’adattare il corpo a testimone fedele del proprio sentirsi e voler essere. Nella fluidità di cui è impregnata la rete web e la cultura odierna è più forte, invece, la tentazione di liberarsi dal corpo piuttosto dello sforzo di valorizzarne la centralità, anche se il corpo non precostituisce in modo invariante forme e inclinazioni. La corporeità, infatti, è sempre una produzione anche culturale. Secondo la generazione Z, per esempio, il corpo vestito esprime ancor meglio il suo valore. Un’ulteriore frattura tra mente e corpo è provocata dal web, che spesso compensa l’isolamento fisico e “rimedia” alle aree mancate di esperienza. Inclusione, conferma e riconoscimento avvengono spesso attraverso la rete. In questo modo, infatti, molti adolescenti fanno il loro primo coming out. Nella “finzione” del proprio profilo web ognuno si sente se stesso, meglio che nel proprio corpo reale. Quando il problema è il corpo, quindi, è necessario trovare una dimensione comunitaria più ampia possibile. A questo servono i laboratori di educazione sessuale.
Nella ipersessualizzazione diffusa, dove spesso il sesso è scollegato dall’impegno affettivo, l’eros perde le sue radici profonde e istintuali, ben documentate dall’evoluzione del cervello umano. Nell’attuale ritiro erotico sembra di assistere a tale dissociazione. Vi contribuisce forse anche il vuoto simbolico del padre e la conseguente crisi del maschile.
Nelle relazioni tossiche, sulle quali oggi si richiama spesso l’attenzione, perché il proprio ben-essere risulta compromesso a livello psicologico ed emotivo, è difficile capire quando prevalga la manipolazione o quanto incida il comportamento narcisistico.
Quando c’è il rispetto dell’altro, desiderare di passare del tempo con persona che piace, cercare di tenersi in contatto, mantenersi curiosi e interessati alla vita dell’altro, coltivare desiderio, affetto e attenzione, diventano indici di un rapporto sano. I due si dedicano uno all’altro, sanno chiedere e ricevere aiuto, fanno regali, improvvisano sorprese, senza aspettarsi nulla. Sanno stare da soli e ricavare i propri spazi.
Nella sfera dell’intimità erotica, il rispetto richiede sempre anche il consenso. L’orgasmo è un processo fisiologico, che difficilmente può essere controllato: nella funzione erotica a un certo punto entra la natura e fa il suo corso. La sensazione profonda e duratura di benessere, che la sessualità produce, è data invece dall’intimità emotiva, dal feeling che le persone responsabilmente creano. Le fasi del piacere non si susseguono automaticamente identiche ma si alternano. Non si recita mai un copione, che annullerebbe ogni incentivo erotico. Il desiderio attiva il percorso, la recettività amplifica la motivazione.
La generazione Z e quella alpha crescono in un ambiente ibrido, influenzato dall’ambiente digitale e virtuale. Senza riferimenti unitari e senza riti di passaggio, ruoli ed espressioni di genere diventano materia di scelta individuale. Nella varianza di genere, l’orientamento sessuale non sempre è chiaro: “A volte mi sento una ragazza, a volte mi sento un ragazzo”, “Non mi sento esattamente una ragazza, non mi sento esattamente un ragazzo”. La consapevolezza di sé non sempre coincide con il sesso biologico. Transgender e cisgender sono però disposizioni mentali evolutive, non dicono ancora l’umano personale. Sono aggettivi, non sostantivi.
Precarietà, flessibilità, incertezza, timore di fallimento diventano sentimenti diffusi, come se non ci fosse quasi più niente di certo. Interrogarsi e riflettere sul futuro produce ansia o anche angoscia. Si cerca, invano, di non pensarci.
L’educazione sessuale si prende carico di questo disorientamento. Si deve occupare di affrontare condizioni che prima erano dettate da stili di vita condivisi. Il corteggiamento, per esempio, può essere sentito come complicato e pieno di insidie. Ci si può sentire impreparati al primo appuntamento: cosa fare? Cosa dire? Si sta incontrando una persona, nella sua singolarità corporea! Ci si confronta con reciproche emozioni e sentimenti. Come presentarsi curiosi e aperti al dialogo, gentili e garbati? Cosa evitare o temere? Atteggiamenti troppo intimi potrebbero mettere a disagio, pretendere di capire tutto già al primo appuntamento potrebbe essere eccessivo. Come tenere lo sguardo? Come portare il corpo? Come farle (fargli) capire che siamo interessati a lei (a lui)? Come progredire nella relazione? Cosa pensare o non pensare? Cosa dire o non dire? È tutto lasciato alla propria responsabilità e competenza. Altre domande sono ancora più difficili ma inevitabili. Come intendiamo la sessualità? In cosa consiste il piacere? Quali confini tra eros e amicizia? Quali differenze tra il maschile e il femminile? Cos’è l’amore?
L’educazione sessuale è la prima scuola di cittadinanza e socialità. Oggi ha il compito di costruire su basi nuove un costume di rispetto, consenso, gentilezza. L’opposto di ciò che vediamo diffondersi attorno a noi.











































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