Osservando i nostri tempi
- Domenico Cravero
- 4 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Ascoltiamo i giovani con nuove chiavi di lettura
di Domenico Cravero

Sulla scena sociale i giovani appaiono spesso silenti, a volte scostanti. Possono ostentare allergia per i buoni consigli, come se ormai non avessero più domande da fare. Amano l’indipendenza e non sempre accettano accompagnatori. I giovani parlano poco di sé e per lo più lo fanno in luoghi e momenti scarsamente visibili nella società, che appare loro lontana e assente. Il loro contributo è invece indispensabile per rilanciare lo sviluppo e il rinnovamento della società. La passività con cui sono considerati li rende meno capaci di diventare protagonisti del cambiamento. Lo squilibrio generazionale rende inoltre la società più iniqua ma anche meno dinamica.
Per ascoltare i giovani bisogna disporre di nuove chiavi di lettura. Per coltivare sentimenti di empatia occorre orientare diversamente lo sguardo.
Nell’animazione di piazza, nella vita di strada, nelle notte bianche, nel popolo della notte, si possono scorgere i tratti, agitati e incerti del nostro tempo e, parallelamente, si possono raccogliere gli spunti per nuove ed efficaci azioni sociali. La socializzazione giovanile è uno specchio fedele delle risorse e delle contraddizioni della vita metropolitana ma anche un possibile teatro in cui prefigurare e innescare il cambiamento. Incontrare e ascoltare i giovani è possibile a condizione di promuovere la loro espressione, di comprenderne il messaggio nascosto.
Espressioni e suoni performativi
L’empatia si ristabilisce quando gli adulti ne ammirano l’originalità. Attraverso le arti, le persone creano produzioni comunicative che mettono in scena se stesse e riflettono sulla realtà: “Quello che fanno i membri di una tribù quando fabbricano maschere, si travestono da mostri, ammucchiano simboli rituali disparati, invertono o fanno la parodia della realtà profana nei miti e nelle leggende popolari, è ripetuto dai generi di svago delle società industriali quali il teatro, la poesia, il romanzo, il balletto, il cinema, lo sport, la musica classica e rock, le arti figurative, la pop art, ecc.”(Victor Turner).
Mediante l’evento performativo si porta alla luce ciò che nella normalità è tollerato e nascosto. Mode e movenze, tattoo e brand, abbigliamenti e acconciature sono simboli che creano nel corpo opere uniche e irripetibili. Anche le parole (dei testi musicali, per esempio) più che trasmissione di contenuti sono espressioni e suoni performativi che creano identificazione, aggregazione, vitalità e movimento. La varietà nell'abbigliamento, la spontaneità del portamento, il culto del corpo, i giochi dell'apparenza, i messaggini via web, la complicità erotica, delimitano un medium e un continuum dove ciascuno è, nello stesso tempo, attore e spettatore in una "relazione di sintonia" che si può chiamare anche “socialità”. Oggi si acquista consapevolezza non con la riflessione solitaria, ma partecipando, direttamente o con la mediazione dei vari generi di performance, ai drammi socioculturali.
Scambio di parole, ascolto e azione
La forza del dramma sociale consiste nel costituire un’esperienza (o una sequenza emozionale che ha la forma del flusso emozionale) che influenza in modo significativo la visione di se stessi e della realtà, lasciando la possibilità di aprire un varco nella confusione, una “voce” nell’afasia. La riflessività performativa è la condizione in cui un gruppo riflette su se stesso, sulle relazioni, i simboli, i significati, i codici delle strutture sociali che concorrono a formare i loro Sé. Le performance tendono a essere fenomeni liminali, che dissolvono tutti i sistemi dati per scontati. Può scaturire così una ricreazione sociale.
La comunicazione giovanile, attraverso l’ammirazione empatica degli adulti, può infine diventare scambio di parole, ascolto e azione. Possono nascere nuove forme di eloquenza sociale, condizione essenziale per innescare processi di cittadinanza attiva, dove i giovani siano insieme agli adulti.
La performance di strada, l’occupazione variopinta del tempo notturno, la frequentazione libera ai supermercati, il lungo girovagare del week end diventano nuovi possibili territori da abitare, tempi mitici dove riprendere speranza. Quanto ne traspare è la società al suo “modo congiuntivo”: il volto giocoso dell’immaginare. A dispetto delle critiche di superficialità e della denuncia dei possibili rischi, il modo in cui le persone giocano “ci rivela più cose sulla loro cultura di quante ce ne riveli il modo in cui lavorano, perché ci fa penetrare i loro valori del cuore” (V. Turner).
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