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ORIZZONTI D'EUROPA.

Aggiornamento: 15 apr

Il ritorno alla commedia di dare ragione a tutti in vista delle elezioni


di Mercedes Bresso

 

Tempi difficili in Europa: un po’ su tutto i gruppi si confrontano in modo aspro e pensano soprattutto a distinguersi in vista della futura campagna elettorale. Un esempio preoccupante riguarda la riforma del Patto di Stabilità, su cui ha lavorato con grande impegno il nostro Commissario Paolo Gentiloni. Si trattava di un compito difficile, perché durante il Covid il patto era stato sospeso e molti Paesi, tra cui il nostro, avevano aumentato debito e deficit in modo elevato. Non si sa perché molti si attendevano che il momento di ritornare alle antiche regole di Maastricht fosse dilazionato in modo indefinito, invece i Paesi cosiddetti frugali hanno iniziato a fare pressioni per approvare nuove regole, coscienti che alle vecchie era difficile tornare, ma desiderosi anche di porre un freno alle tendenze eccessive a fare debito, soprattutto se si considera che l’aumento dei tassi di interesse ha molto appesantito il costo del rimborso del debito stesso.

La soluzione proposta da Gentiloni si basa essenzialmente su un negoziato caso per caso con ogni paese, che tenga conto della più generale situazione della sua economia, dei progetti di investimenti, delle modalità che propone per progressivamente tornare a deficit annuali primari (al netto degli interessi) attivi o in pareggio e delle prospettive di riduzione progressiva del debito.

Il Parlamento Europeo, nel negoziato con il Consiglio e la Commissione, è riuscito a introdurre più nei tempi per realizzare il rientro, la necessità di tenere conto degli aspetti sociali delle politiche per evitare insostenibili austerità e lo scomputo dal debito calcolato per il nuovo patto negoziato degli investimenti che cofinanziano i fondi europei o che rispondono alle priorità strategiche dell’Unione (transizione ecologica e digitale, autonomia strategica, difesa e sicurezza). Non è certo l’ideale, ma è un primo passo verso il riconoscimento che il debito per investimenti produttivi crea crescita e in prospettiva si paga.

I governi hanno approvato l’accordo raggiunto e adesso tocca al Parlamento: sembrava cosa fatta dopo il lavoro di anni e i  risultati raggiunti. Invece le discussioni avvenute anche nella nostra delegazione ci dicono il  contrario. Ad esempio la segretaria del Pd Elly Schlein è d'avviso contrario, probabilmente per non dare alla Meloni una sorta di approvazione del lavoro svolto in Consiglio. E lo stesso avviene per altre delegazioni nazionali. Probabilmente il testo sarà approvato lo stesso, ma si potrà dirne male, secondo me sbagliando, perché in questo modo sviliremo il lavoro del nostro Commissario e quello della nostra Presidente della Commissione Econ (Tinagli).

Ma questo è solo un esempio. Il secondo riguarda un testo ancora più importante: il regolamento sul ripristino della natura, uno dei pilastri portanti del Green Deal, che inizialmente era stato approvato in una versione un po’ difficile da applicare ma che, dopo un lungo negoziato, è stato rivisto ed è oggi più morbido e si basa su regole dotate di maggiore flessibilità per adattarsi alla grande varietà degli ecosistemi del continente. Si tratta, ricordiamolo, di una delle norme che facilitano l’adattamento al cambiamento climatico perché obbliga gli Stati membri ad affrontare le aree naturalisticamente degradate, la cui produttività naturale è stata ridotta. Se vogliamo andare verso un modello di sviluppo sostenibile dobbiamo affrontare il tema di aiutare la natura a ricostituire la sua capacità di fornire servizi all’insieme delle forme di vita sulla Terra e ciò vale anche per le terre agricole che sono state progressivamente spogliate della fertilità dei terreni con il rischio di perdite sempre più importanti per gli stessi agricoltori. Se si guarda al testo senza pregiudizi si vedrà che con impegno - è una buona programmazione a scala territoriale - si potrebbero raggiungere risultati eccellenti senza per questo creare problemi insormontabili al mondo rurale e alle città.

Invece che cosa è successo? Malgrado l’accordo siglato poco tempo fa da tutti gli ambasciatori dei diversi paesi, che avrebbe dovuto essere ratificato dal Consiglio senza discussione, la presidenza belga ha tolto il punto dall’ordine del giorno, rinviandolo a data da destinarsi, perché si era formata una minoranza di blocco per rifiutare l’accordo raggiunto. Questo significa, in parole povere, che il testo non sarà approvato in questa legislatura e che tutto sarà rinviato alla prossima, quando i danni agli ecosistemi saranno probabilmente aumentati e i costi del ripristino aumentati. Soprattutto non si sarà data risposta ai tanti giovani che si sono mobilitati per chiedere all’Europa di intervenire con urgenza sulla crisi ambientale e sulla transizione ecologica.

Quanti altri danni riusciranno a produrre gli Stati e i partiti in vista delle elezioni, nell’ansiosa ricerca di dare risposte a tutti coloro che protestano invece di avere il coraggio di guidare i propri elettori verso le politiche più sagge per la nostra vita e per quella del nostro ambiente?

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