Occupazione, lavoro e potere visti dall'I.A... (parte seconda)
- Ferruccio Marengo
- 5 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Tra tecnologie "deboli" e "forti", scenari attuali e prossimi
di Ferruccio Marengo

L’industria italiana produce oggi lo stesso valore aggiunto del 1998 avendo perso quasi un milione di occupati. Nello stesso arco di tempo, considerando tutti i settori di attività, gli occupati a tempo parziale sono cresciuti di 2,7 milioni, quelli con contratto a termine di oltre 1,8 milioni). L’aumento degli occupati nei servizi, in controtendenza rispetto a quelli industriali, è per circa tre quarti dovuta all’espansione dei servizi di supporto alle aziende, dei servizi professionali e dei servizi di alloggio e ristorazione. Nel primo caso l’aumento è imputabile, per tre quarti, alla crescita delle agenzie di fornitura di lavoro (lavoro interinale) e alle aziende che erogano servizi di pulizia.
Nel secondo caso l’incremento discende per la metà circa dalla crescita dei servizi di consulenza legale e di gestione aziendale, mentre rimangono tendenzialmente stabili gli addetti ai servizi di ricerca e sviluppo e d’ingegneria.[1] La riduzione dell’occupazione causata dall’aumento della produttività nell’industria è dunque stata in gran parte compensata dall’aumento del lavoro in servizi professionalmente ‘poveri’, anche se si apprezza la crescita, peraltro contenuta, di alcune attività ‘pregiate’ di consulenza, che sono però più esposte, nel prossimo futuro agli effetti negativi dell’uso dell’intelligenza artificiale.
Usa e Cina, blocchi oligopolistici
In sintesi, sia le tecnologie ‘deboli’ che quelle ’forti’ di intelligenza artificiale sembrano portare a una riduzione tendenziale dell’occupazione, accompagnata da alcuni cambiamenti della struttura occupazionale con: a) la crescita delle professioni di alto profilo, impiegate in attività di ricerca, sviluppo e applicazione dei sistemi d’intelligenza artificiale (e, più in generale, di sistemi informatici avanzati); b) la contrazione di figure di alto profilo in alcune attività di servizio, come quelle legali, assicurative, finanziarie e della comunicazione; c) la forte riduzione di figure di medio livello, oltre che nell’industria, in comparti come quelli bancario, assicurativo, postale, commerciale; d) la riduzione dell’impiego di competenze esecutive in ambito amministrativo e in quello della produzione industriale di grande scala; e) il mantenimento o la crescita di figure di basso profilo professionale in ambito agricolo e in alcune attività di servizio (pulizie, manutenzione ordinaria, alloggio, ristorazione, assistenza).
Queste tendenze concorrono a definire uno scenario (in parte già attuale) nel quale, alla più che significativa riduzione delle figure ‘intermedie’, fanno da contraltare la crescita di alcuni profili ‘alti’ e il permanere (quando non l’aumento) di lavoratori esecutivi con competenze professionali molto basse. Ciò porta a una sorta di polarizzazione nella quale, accanto al segmento, non marginale ma minoritario, dei lavoratori ‘forti’, con elevati profili professionali e buone condizioni retributive, s’incrementa la massa di coloro che assolvono compiti esecutivi per i quali non è richiesta alcuna competenza specifica. Sono, questi ultimi, i lavoratori ‘deboli’, perlopiù dotati di un potere contrattuale assai limitato, costretti a tirare avanti passando da un lavoro ‘povero’ all’altro in una condizione di costante precarietà e incertezza, perennemente collocati a cavallo della linea che separa l’occupazione dalla non occupazione, la povertà relativa da quella assoluta.
Accanto a ciò occorre segnalarne il fatto che le attività di ricerca e sviluppo delle tecnologie d’intelligenza artificiale, allo stato attuale, non sono geograficamente distribuite, neppure se ci si limita a considerare i soli paesi a economia avanzata. Risultano, al contrario, sostanzialmente concentrate in due poli: gli Stati Uniti - dove operano grandi aziende come Nvidia, Google, Microsoft, Meta. Ibm, Amazon e Tesla, tutte impegnate a sviluppare, nei rispettivi campi di attività, sistemi d’intelligenza artificiale con investimenti complessivi di decine di miliardi di dollari – e la Cina, dove sono presenti imprese come Huawei, Baidu, Alìbaba, le sole che sostengono investimenti raffrontabili a quelli statunitensi. Ciò riduce la competizione a due blocchi oligopolistici, ciascuno fortemente finanziato e protetto dai rispettivi governi.
Rischio subalternità per il Vecchio Continente
Una competizione nella quale l’Europa gioca oggi un ruolo marginale: nel 2023 i contributi dell’Unione Europea per la ricerca e lo sviluppo di sistemi d’intelligenza artificiale sono stati dieci volte inferiori a quelli erogati dal governo degli Stati Uniti e la metà circa di quelli della Cina.
Questo pone almeno due problemi. Il primo: se lo sviluppo dell’intelligenza artificiale è uno dei principali fattori strategici di sviluppo, così come a suo tempo lo sono state le tecnologie informatiche, l’Europa è destinata a occupare una posizione di subalternità evidente, che la porterà a esercitare un ruolo sempre meno incisivo, a livello globale, sia per la definizione dell’’agenda’ dello sviluppo stesso, che per la generazione di ricchezza e lavoro.
Il secondo problema discende dalle modalità con le quali si è fino ad ora formato e consolidato l’apparato produttivo impegnato nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione dell’intelligenza artificiale. Un apparato, s’è detto, costituito da due grandi strutture oligopolistiche, sostenute e protette dai rispettivi governi. Si sono così consolidati legami di reciproca dipendenza tra oligopoli e stato, in ragione dei quali la configurazione, la dimensione, lo sviluppo e la stessa sopravvivenza, nella sua attuale forma, dall’apparato economico impiegato per l’intelligenza artificiale è in gran parte dipendente dall’azione e dalle scelte del sistema politico; mentre il potere che quest’ultimo può esercitare, verso l’’esterno e l’interno del paese, è in misura non marginale funzione dell’affermazione, su base globale, del primo. La formazione di dipendenze reciproche tra potere economico e potere politico non è una novità: sono passati poco meno di ottant’anni dal giorno in cui il presidente Eisenhower ha reso pubblica la sua denuncia sui condizionamenti che gli interessi del ‘complesso militare-industriale’ esercitavano sulle scelte di governo, senza peraltro sottolineare con pari forza il fatto che il potere globale che il suo governo esercitava discendeva in gran parte dalla forza dell’apparato industriale-militare statunitense. È però inevitabile domandarsi, ancora una volta, quanto questi interessi - e i conseguenti vincoli che legano l’apparato produttivo con il potere politico - rendano effettivo il principio democratico che tutti i paesi occidentali costantemente affermano, e quanto questo principio sia nei fatti destinato a cambiare (o affievolirsi) di fronte agli interessi e al potere degli apparati produttivi.[2]
Note
[1] I dati riportati sono stati elaborati a partire dal database Eurostat, consultabile al sito https://ec.europa.eu/eurostat/data/database













































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