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Occupazione, lavoro e potere visti dall'I.A... (parte prima)

Dalla rivoluzione industriale all'industria delle rivoluzioni


di Ferruccio Marengo


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Nel primo quindicennio dell’Ottocento, il nascente proletariato inglese combatté una lunga battaglia contro l’introduzione dei telai meccanici. I padroni delle manifatture erano interessati a utilizzare i nuovi mezzi di produzione per aumentare la produttività e, con ciò, i loro profitti; i tessitori a domicilio temevano, non a torto, che i nuovi telai li avrebbero privati delle commesse e condotti alla rovina; gli operai erano mossi dalla preoccupazione che le macchine avrebbero condannato molti di loro alla perdita del lavoro. Per scongiurare questi pericoli condussero una lotta violenta, senza esclusione di colpi, ma lo fecero con lo sguardo rivolto al passato. Ne uscirono sconfitti. Fecero però emergere una contraddizione del ‘modello’ di crescita dalla nascente industria, che non sarà mai superata: l’introduzione di sistemi produttivi che incrementano la produttività del lavoro, e che per ciò stesso accrescono la quantità di beni disponibili (la ricchezza della nazione, per dirla con Smith) che tende, a parità di ogni altra condizione, a contrarre l’occupazione e a restringere la platea di coloro che di tali beni possono fruire.


L'inevitabile "resistenza" alle nuove tecnologie

È una contraddizione che discende necessariamente sia dalle qualità intrinseche delle tecnologie impiegate, sia dai modi con i quali queste vengono utilizzate nel sistema economico nato con l’industria moderna e ancora oggi dominante. La ‘disoccupazione tecnologica’ non è l’effetto inevitabile dell’introduzione delle macchine, ma delle ‘leggi’ economiche che ne governano l’impiego nel sistema economico dato.

Ciò nonostante, le innovazioni degli ultimi due secoli sono sempre state accompagnate da manifestazioni più o meno marcate di resistenza e dal (paradossale) rifiuto di sistemi di produzione ritenuti ‘cattivi’ perché danno la possibilità di produrre di più lavorando di meno. Questo vale anche per l’ultimo dei ‘salti tecnologici’, quello dato dall’introduzione dell’intelligenza artificiale, ovvero dell’impiego di sistemi dotati di facoltà raffrontabili a quelle della mente umana.

In realtà, ormai da decenni conviviamo con forme ‘deboli’ d’intelligenza artificiale, con macchine capaci di sostituire l’uomo in attività che richiedono limitate capacità di decisione: dai robot industriali ai centri di lavoro automatici. Applicazioni dell’intelligenza artificiale sono già ampiamente utilizzate per la pianificazione e la gestione della produzione e della logistica e sono in aumento in campi come la sanità, la finanza, i servizi legali, la comunicazione, il marketing, l’istruzione e il lavoro d’ufficio. Negli ultimi anni, la percezione delle potenzialità e dei rischi correlati all’introduzione dell’intelligenza artificiale da parte di un pubblico vasto è però cresciuta, soprattutto seguito del lancio, nel 2022, da parte di OpenAI, di ChatGPT3, un sistema capace di ‘generare’ testi e immagini sulla base di semplici consegne formulate dall’utilizzatore.

Ne è seguito l’emergere di opinioni diverse, tra quali si osservano atteggiamenti radicali di accettazione o rifiuto incondizionato di quest’innovazione, giudicata, a seconda delle preferenze, intrinsecamente ‘buona’ o ‘cattiva’. Si ripropone così, sia pure in modi diversi (e fortunatamente meno violenti), un campo di discussione analogo a quello che due secoli fa ha accompagnato l’introduzione dei telai meccanici nel quale si confrontano e scontrano, da un lato, un’illimitata fede nei benefici taumaturgici della tecnologia (e delle merci) e, dall’altro, un richiamo non privo di accenti mistici alle gioie e alle serenità di un mondo ‘naturale’ che, in realtà, non è mai esistito. È un campo che, così strutturato, è sostanzialmente sterile, a causa della tendenza a discutere della bontà o meno di una tecnologia anziché delle utilità – o disutilità – che la sua applicazione può generare nel contesto economico e sociale dato e delle misure che possono essere adottate per incrementare le prime e ridurre le seconde.


Professioni destinate all'oblio...

È vero che l’uso dell’intelligenza artificiale nei nostri attuali sistemi produttivi solleva rilevanti problemi di ordine etico e, nello stesso tempo, pone serie questioni di carattere sociale, la prima delle quali riguarda gli effetti che essa ha, o potrà avere nel prossimo futuro, sull’occupazione e sulla redistribuzione della ricchezza e del potere. Secondo uno studio pubblicato nel 2024 dal Fondo Monetario Internazionale, nei Paesi a economia avanzata l’intelligenza artificiale interesserà il 60 per cento dei lavori: di questi, poco più della metà saranno ‘cancellati’ dalla nuova tecnologia, mentre i rimanenti subiranno trasformazioni di qualche rilievo.[1] Un rapporto pubblicato nel 2023 del World Economic Forum afferma che, da qui al 2027, per effetto delle nuove tecnologie, sono destinate a sparire più del 12 per cento delle attuali occupazioni. Particolarmente colpiti saranno i lavoratori con alcune mansioni di medio e medio-basso profilo nei campi dell’amministrazione, delle vendite, della sicurezza e in alcune attività correlate all’uso dei sistemi informatici (come quelle d’inserimento dati).

Non mancano però, nell’elenco degli ‘obsoleti’, anche posizioni di medio-alto livello in ambito finanziario, bancario, legale e assicurativo.[2] Lo stesso rapporto sostiene tuttavia che la perdita di posti di lavoro sarà quasi del tutto compensata dalla crescita dell’occupazione generata dalle nuove tecnologie: un’affermazione che, sebbene sia ampiamente e in più sedi richiamata, appare però sostenuta più da un’acritica fiducia nelle capacità riequilibratici del mercato che da solidi elementi di fatto.

Sul piano empirico è interessante osservare come già l’introduzione di tecnologie ‘deboli’ d’intelligenza artificiale abbiano influito sull’occupazione nell’industria, che ha sperimentato prima di altri comparti tale cambiamento. In Italia, nell’arco dell’ultimo quarto di secolo il valore aggiunto reale dell’industria è rimasto sostanzialmente stabile, mentre quello per occupato è cresciuto di oltre il 25 per cento. C’è stata quindi una crescita dell’efficienza (produttività) che ha ridotto in misura più che significativa, a parità di ogni altra condizione, la domanda di lavoro (e quindi di occupazione).


Note

[1] International Monetary Fund, Artificial Intelligence and the Future of Work, 2024 

[2] World Economic Forum, Future of Jobs Report, 2023


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