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La Porta di Vetro

Nel ricordo di Aldo Moro e Peppino Impastato

Aggiornamento: 27 mag


Oggi, 9 maggio, si celebra la giornata della vittime del terrorismo. Giornata simbolo nel ricordo del 9 maggio 1978, quarantasei anni fa, quando l'onorevole Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana fu ritrovato morto dopo 55 giorni di sequestro all'interno di una "Renault 4" di color rosso. Fisicamente ucciso con undici colpi al petto esplosi da una pistola Walter PPK e da una mitraglietta Scorpion, politicamente vittima sacrificale alla delirante strategia di attacco al cuore dello Stato propugnato dalle Brigate rosse. Quella Renault 4 rossa, il cui ricordo rimarrà indelebile e sempre disteso nella memoria, fu posizionata in via Caetani a Roma, in posizione quasi equidistante tra la sede del Pci in via delle Botteghe Oscure del Pci, e quella della Dc, in piazza del Gesù; contrasto feroce e sanguinario alla visione del "Compromesso storico", all'incontro tra cattolici e comunisti per il rinnovamento del Paese, cercata con determinazione proprio da Aldo Moro e dal segretario generale del Pci, Enrico Berlinguer.

Era un'azione che rompeva schemi convenzionali avversata dal terrorismo rosso, dietro il quale muovevano anche i loro fili reazionari forze e potentati, anche stranieri, decisi a bloccare l'avanzata e l'emancipazione sociale delle classi meno abbienti. Valerio Morucci, uno dei militanti di spicco delle Br, annunciò la morte con una telefonata di rivendicazione da Franco Tritto, uno dei collaboratori di Aldo Moro. Le speranze di palingenesi della Prima Repubblica cominciarono a morire quel giorno, mentre il dossier dei misteri italiani si arricchiva di un altro inquietante capitolo, tuttora aperto e pregno di interrogativi senza risposta.

In quello stesso giorno, sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani, venne scoperto il corpo orribilmente dilaniato di Peppino Impastato, un giovane anticonformista, coraggioso e ribelle contro la mafia siciliana, militante della sinistra extraparlamentare e dirigente di Democrazia proletaria, sempre in prima fila nelle marce per la Pace. Peppino Impastato pagava con la vita la sua intransigenza verso il potere mafioso, quello incarnato nel suo comune di residenza, Cinisi, dal boss Tano Badalamenti, da lui preso in giro nelle trasmissioni di una radio locale con il nomignolo di "Tano seduto". Il capomafia nel 2002 è stato riconosciuto colpevole del delitto e condannato all'ergastolo.

La morte di Peppino Impastato, un monito spietato a chi "insisteva" a denunciare la mafia, si dissolse nel vortice dell'eco dell'omicidio di Aldo Moro. E furono anni di oblio doloroso, soprattutto per famigliari e amici, prigionieri di una cappa omertosa e violenta, in cui si distinse "un contesto di gravi omissioni ed evidenti anomalie investigative", come scrisse nell'ordinanza di archiviazione il GIP di Palermo Walter Turturici a riguardo delle indagini sul delitto Impastato condotte dai Carabinieri. Ma a conferma di una battaglia che non era fine a sé stessa, e grazie anche alla forza morale della madre di Peppino, Felicia Bartolotta, instancabile nel volere la verità sulla morte del figlio e nel rifiutare indagini e conclusioni addomesticate, la sua figura ritornò in primo piano negli anni Novanta con la riapertura dell'inchiesta, fino a diventare uno dei simboli più alti e splendenti della lotta al fenomeno delle mafie.

Aldo Moro e Peppino Impastato, storie diverse eppure così eguali nel coraggio di perseguire un'idea con lucidità e grande coerenza, anche al prezzo della propria vita.

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