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Caso Cospito, lo Stato di diritto vale per tutti

di Maria Grazia Cavallo

Cercando di evitare tecnicismi sofisticati e affaticanti, possiamo salutare con soddisfazione la decisione della Corte Costituzionale che il 18 aprile ha dichiarato l’illegittimità del quarto comma dell’articolo 69 del Codice penale. Dietro questi numeri, infatti, riappare Alfredo Cospito, l’anarchico che per troppi mesi ha continuato lo sciopero della fame, contro la detenzione “al 41bis”.

A ben pensarci, anche la pervicace perseveranza nel digiuno, ai limiti dello stremo, costituisce un modo diverso attraverso cui egli ha finora manifestato la propria irriducibile ribellione al “sistema”, fino a trasformare il proprio corpo in ultimo strumento di lotta.


L'intervento della Corte Costituzionale

Oggi il dettato della più alta Corte sembra determinare più di una svolta positiva: ad esempio la notizia, umanamente rassicurante, che Cospito ha deciso di interrompere lo sciopero della fame. Eppure questa decisione dei Giudici Costituzionali non incide sulle attuali modalità della detenzione, che permangono quelle del 41 bis.

Riguarda invece il processo per l’attentato alla Scuola Allievi Carabinieri di Fossano del 2 giugno del 2006, rivendicato dall’anarchico. Assieme alla sua compagna, egli aveva collocato due bombe ad alto potenziale nei cassonetti per i rifiuti situati all’ingresso della caserma. Gli ordigni sarebbero dovuti esplodere di notte, a distanza ravvicinata e a mezz’ora l’uno dall’altro, proprio per provocare gli effetti più devastanti. Il gesto, dunque, era chiaramente programmato per uccidere, e non determinò conseguenze letali soltanto per fortuna.

Proprio per le modalità di attuazione e per le ragioni che lo avevano ispirato, la Corte di Cassazione aveva qualificato il reato come strage “politica”: cioè finalizzata ad “attentare alla sicurezza dello Stato mediante l’uccisione di un numero indeterminato di Carabinieri”.

E’ opportuno precisare che Il Codice Penale descrive e punisce due diversi reati di strage: il delitto comune di pericolo contro l’incolumità pubblica e la diversa fattispecie ascritta a Cospito: quella, ben più grave, di strage come “delitto contro la personalità dello Stato”. Tale specifico reato - anche a prescindere dalle conseguenze prodotte (per integrare questo particolare reato non è richiesto che si compia una “strage” nell’accezione che tale parola ha nella vita ordinaria) - è ritenuto così grave da prevedere come pena l’ergastolo.

Per di più, il quarto comma dell’articolo 69 del Codice penale, non avrebbe consentito – prima del 14 aprile - alcuna riduzione di pena attraverso la concessione di circostanze attenuanti prevalenti sulla recidiva contestata all’imputato. Cosicché, per l’anarchico Cospito, l’ergastolo sarebbe stato la sanzione inevitabile.


La concessione delle attenuanti generiche

Ma quei più alti magistrati – il cui compito è controllare se le norme di legge rispettino o violino la Costituzione e censurare gli specifici profili di contrasto – hanno dichiarato “illegittimo” proprio quel quarto comma. Che avrebbe di fatto ridotto i giudici a “bocca della Legge”, impedendo loro qualsiasi autonoma e discrezionale valutazione delle specificità concrete della vicenda: ad esempio, di considerare il fatto di entità più lieve, perché nel concreto non ha provocato vittime.

Il 14 aprile, la Corte Costituzionale – decidendo sulla base di un orientamento ormai consolidato – ha restituito ai Giudici la possibilità di ricalibrare, ed eventualmente ridurre, la pena entro i 24 anni: proprio consentendo l’eventuale concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva. Terminologia tecnica che può significare l’apertura di qualche speranza per l’uomo.

E’ interessante osservare che la richiesta di controllo della legittimità costituzionale del “famigerato quarto comma del 69” – problematica che vincola le decisioni dei Giudici in molte situazioni non uguali, ma similari a quella di Cospito - era stata richiesta dai legali dell’anarchico e condivisa dalla Corte d’Assise d’Appello di Torino, che aveva inoltrato il fascicolo alla Corte Costituzionale per pronunciarsi.

L’Avvocatura dello Stato - di opinione contraria nella dialettica processuale - aveva osservato che una strage “politica”, proprio perché tale, non potrebbe mai essere considerata “lieve” per principio; e che l’eventuale accoglimento della richiesta difensiva avrebbe potuto creare precedenti estensibili anche ai processi per mafia.

Ha prevalso, correttamente, l’interpretazione “costituzionalmente orientata” della normativa: per cui la pena - per essere “giusta” e finalizzata anche alla rieducazione del soggetto - deve risultare adeguata e proporzionata rispetto alla situazione concreta ed alla persona a cui si deve comminare.


Una decisione dalla rilevanza simbolica

Per i professionisti della Giustizia, tale decisione era tecnicamente prevedibile, auspicabile e attesa. Sicuramente non è stata condizionata dal digiuno oppositivo dell’anarchico proprio perché, come abbiamo detto, costituisce una “lettura costituzionalmente orientata” e consolidata della normativa. Tuttavia la decisione assume una rilevanza particolarmente simbolica e degna di riflessione per tutta la nostra società, partendo proprio da questo caso specifico.

Una forte democrazia deve seguire i princìpi dello Stato di diritto. Deve mantenersi estranea – sempre, di volta in volta e caso per caso - alle convenienze politiche contingenti. Deve rifuggire dalla tentazione di un uso opportunistico e strumentale della giustizia penale. Infatti, il rischio di scivolare nel cosiddetto “ populismo penale” è costantemente ed insidiosamente presente. Questo, talvolta, potrebbe anche profilarsi come “istintivo e giustificabile ” – magari in buona fede o strumentalmente ammantato di buona fede - nell’ambito di certe scelte di politica criminale funzionali a mantenere il controllo sociale. Ad esempio: allo scopo di proteggere la collettività da manifestazioni di criminalità diffusa; o per contrastare fenomeni delinquenziali specifici e particolarmente aggressivi o manifestazioni eversive ed emergenzialità terroristiche in determinati periodi storici.

Lo abbiamo già visto e percepito, nella nostra storia, e forse siamo in molti ad avere in mente fotogrammi di ricordi o qualche allarmata sensazione al riguardo. Ma, per il nostro sistema democratico, la forza del diritto sta nel saper distinguere fra fini e mezzi. Senza guardare “nei confronti di chi” si debba fare giustizia, senza considerare alcun altro dovere se non quello di dare risposte coerenti e sintoniche rispetto ai princìpi che ci siamo dati in Costituzione ed al nostro livelli di civiltà. Oggi Cospito lo sa e forse riflette su questo.





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