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Liz Truss da brivido... scommette sulla finanza

di Emanuele Davide Ruffino

Lo san bene quelli del governo Berlusconi (costretto a dare le dimissioni causa uno spread a quota 500 punti sui titoli di Stato tedeschi) e il neo premier britannico di Liz Truss e il suo cancelliere dello scacchiere Kwasi Kwarteng, costretti a far comperare dalla Bank of England 5 miliardi di sterline al giorno per sostenere la moneta e i titoli di Stato, bersagliati da una pioggia di vendite dopo la presentazione del piano di stimoli fiscali.

La crisi finanziaria globale lascia sempre meno spazi a decisioni imponderate che non si raccordano con le variabili che in questa fase turbolenta, mettono in discussione qualsivoglia teoria, in primis la legge della domanda e dell’offerta (messa in crisi da un sabotaggio ad un gasdotto) o i dati di bilancio (spesso gonfiati da manager per accondiscendere gli azionisti che li devono riconfermare). Tende sempre a prevalere l’ipotesi che la realtà si possa adeguare all’emanazione di una nuova disposizione normativa, mentre non si riflette mai a sufficienza, su come predisporre norme che permettano di migliorare la situazione, date le condizioni operative da cui si parte.


La scommessa di Downing Street 10

Finanziare interamente con il debito pubblico una manovra da 45 miliardi, basata essenzialmente su tagli fiscali e sussidi per il caro-energia (e loro possono contare sul petrolio del mare del Nord), ha messo momentaneamente in crisi il sistema inglese che già deve sopportare un’inflazione del 10% (come pure la Germania e la Spagna, noi siamo all’8%).


Prospettare un taglio delle tasse ed un incremento dei sussidi per il caro energia è indubbiamente allettante per qualsiasi forze politica, ma farlo senza prevederne gli effetti immediati e futuri, rischia di comprometterne l’azione. Quella che si è abbattuta sulla Gran Bretagna a causa di una non ben articolata proposta di riforma, impostate su una logica di deregulation, ammonisce come le questioni finanziare siano alquanto complesse e non possono essere lasciate alla volontà di compiacere, seppur legittime, aspirazioni della popolazione. Alla sola notizia della proposta (quindi prima ancora che questa possa aver manifestato qualche efficacia pratica) la sterlina è immediatamente scesa (rispetto all’Euro) e i titoli del debito pubblico (Gilt) sono in fibrillazione.


Liz Trust e Kwasi Kwarteng non sono sprovveduti, come dimostrano i loro curricula, ed il loro è stato un tentativo di ridare energia ad un’economia, post Brexit, che languiva da parecchi anni, anche attraverso un deficit di bilancio e una svalutazione della moneta. Si sono presi dei bei rischi perché se poi il PIL aumenta (secondo le loro previsioni del 2,5%) allora l’azzardo avrà avuto successo e, di fatto, il maggior deficit provocato dalla manovra, sarà coperto. Altrimenti il Regno Unito, senza il paracadute europeo, correrà grandi rischi.


La fine delle illusioni

L’esperienza d'oltre Manica costituisce una specie di prova da laboratorio, per il neo liberismo che, considerando l’intervento pubblico, inefficace, tardivo, farraginoso e facilmente degenerabile in condizioni ad alto rischio di corruzione, tende a contrastare le violazioni della concorrenza e sostiene, di conseguenza, misure idonee a ristabilire l’effettiva libertà di mercato, quale presupposto delle libertà politiche.

Ancora inebriati dalle promesse elettorali, sarà difficile approntare misure che escano dal contingente, anche se gli effetti delle ondate inflattive pongono gravi problemi, nell’immediato con il pagamento delle bollette, e il carrello della spesa, nel lungo con erosione di parte dei risparmi. Si pensi a chi va in pensione oggi e ritirerà la liquidazione fra due o quattro anni: con i tassi inflattivi intorno al 10% se la ritroverà quasi dimezzata!


La voglia d’intervenire subito, fa prendere decisioni irrazionali, il cui peso ricadrà inevitabilmente sulla sostenibilità del sistema. Ogni azienda, al sentir aumentare il deficit, si chiede quale parte di questo scialacquare ricadrà sulle sue finanze, facendo diminuire il suo indice di fiducia, o peggio, prendendo in considerazione l’ipotesi di delocalizzarsi. Nell’immediato queste sensazioni rischiano di essere recepite ieraticamente dai mercati che tendono subito a quantificare, premiando o meno, qualsiasi progetto di riforma: mai gli indici di fiducia in Europa sono così bassi, come in questi giorni.


L’impietoso mercato finanziario non lascia cioè il tempo di verificare la bontà di una ipotesi operativa e ciò obbliga i governanti di tutti i Paesi a muoversi con estrema attenzione, consci che il loro comportamento può essere vanificato da comportamenti esterni, ma nello stesso tempo, le decisioni assunte non influiscono solo per il paese interessato, ma tutti i delicati equilibri che il mondo globalizzato ha posto. L’illusione che basta una norma o una frase del tipo whatever it take sono ormai tramontati e, specie i nuovi governi, oggetto di maggiori osservazioni, non possono attuare provvedimenti senza valutare attentamente le conseguenze.


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