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"Lampedusa non è un set cinematografico"

di Libero  Ciuffreda*

Ministri, Parlamentari, Presidente del Consiglio italiano e Presidente della Commissione UE, in questi giorni si danno appuntamento nel Mar  Mediterraneo sull’isola pelagica più famosa: Lampedusa.

Sembra un set cinematografico, manca soltanto il red carpet, ma il rosso del sangue della violenza e della morte imbratta le coscienze a dispetto di chi crede di poterlo annacquare con artifici politici.

Abbiamo tutti compreso che non basta uno slogan, non risolve una conferenza stampa e neanche un decreto legge, seppur anch’esso figlio dell’impellenza di dimostrare di far qualcosa, come accadde subito dopo il tragico naufragio di Cutro, per evitare una gestione, fino ad oggi fallimentare, delle politiche migratorie.

Il che favorisce il florilegio quotidiano di soluzioni sfornate da ogni leader politico non attraverso il pensiero, la riflessione, ma con la teatralità di una frase ad effetto, una smorfia o un selfie più efficace di quelli dell’avversario pur di racimolare un titolo sui giornali o una comparsata sui tg.

Anche la drammatica escalation di arrivi delle persone migranti, dal 2021 sono triplicati fino a raggiungere circa 124.000 nei primi 8 mesi del 2023, non placa la fame di notorietà: alcuni gridano, si torni ai decreti sicurezza del Governo giallo verde, altri invocano quelli del Governo giallo rosso, altri ancora vorrebbero riesumare provvedimenti adottati qualche decennio or sono.

Non mancano proclami, a sinistra come a destra, anche in  Francia  o in Germania. Del resto, tra meno di 300 giorni ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e per molti politici intervenire sui migranti rappresenta un’occasione straordinaria, l'opportunità di una ricerca spasmodica per cercare di guadagnare qualche punto percentuale nel prossimo sondaggio elettorale. Tutto ciò come se nel frattempo  nulla  fosse accaduto.

Eppure basterebbe una rapida ricognizione di quanto è recentemente avvenuto o sta accadendo nei Paesi africani o del Medio Oriente per comprenderne la complessità e la portata storica. Possibile che i terremoti in Siria e in Marocco o le fosse comuni in Libia, allestite dopo l’alluvione per evitare il rischio di epidemie oppure le complesse situazioni di instabilità politiche e di estrema povertà che coinvolgono tutta l’area del Sahel, non inducano a considerare più opportuna ed efficace l’abbandono di questa politica urlata?

Com’è possibile continuare a sbandierare politiche sovraniste, prive di quella sobrietà e lungimiranza necessarie, per affrontare un fenomeno, che inevitabilmente ha bisogno di strategie politiche internazionali e di un ampio coinvolgimento almeno dell’unione dei Paesi africani? Il tanto rivendicato accordo con la Tunisia è la rappresentazione di un fallimento annunciato: la riprova che non è sufficiente fare accordi, se l'altro non è in buonafede.

E’ necessaria un’Agenzia europea per l’Africa ispirata a principi di partenariato euro-africano, capace di favorire un rapida revisione del Regolamento di Dublino ed assegnare una competenza esclusiva all’Unione Europea in materia di assistenza e accoglienza delle persone migranti, garantendone un’equa allocazione e una equilibrata ricollocazione dei richiedenti asilo.

“One Earth, One Family, One Future”: questo è l’ambizioso programma che deve guidarci.

Gli sbarchi di persone migranti di questi giorni sull’isola di Lampedusa, le morti di neonati senza colpa, devono risvegliare le nostre coscienze, affinché si disveli il vero significato del termine spesso usato a sproposito sui media: Apocalisse. Ebbene “Apocalisse”, che significa “Rivelazione”, ispiri una rinnovata politica migratoria, solidale e lungimirante, non solo per l’Europa.

 

*Presidente Movimento Federalista Europeo (MFE) Piemonte e Membro del Consiglio delle Chiese Evangeliche in Italia(FCEI)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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