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La "settima arte" nella Torino della Belle Époque

di Marco Travaglini


Esattamente cento anni fa, Rinaldo Arturo Ambrosio, visionario e pioniere del cinema italiano, lasciava la sua casa di produzione fondata a Torino il 2 maggio del 1906. Un abbandono dettato dalla crisi finanziaria che oramai soffocava la società, ma che non cancellava la straordinaria attività che per circa vent’anni l'aveva contrassegnata nel panorama del cinema muto italiano, vero e proprio caposaldo dell'industria cinematografica dell’ex capitale d’Italia.

Per la verità, la "settima arte" giunse relativamente tardi a Torino, rispetto ad altre città italiane. Le Cinématographe dei fratelli August e Louis Lumière, figli dell’imprenditore e fotografo Antoine Lumière, come ricordava Gianni Rondolino, uno dei più importanti critici e storici del cinema italiano, approdò sotto la Mole “solo il 7 novembre 1896, quasi un anno dopo la prima proiezione pubblica a Parigi, organizzata una serata cinematografica in una sala appositamente attrezzata dell’ex Ospizio di Carità in via Po 33, alla presenza di un pubblico scelto”. Organizzatore della serata fu il torinese Vittorio Calcina, di professione fotografo, rappresentante per l’Italia della Société Anonyme des Plaques et Papiers Photographiques A. Lumière et Ses Fils.

Ma non occorse troppo tempo a Torino per diventare la vera capitale del cinema italiano in quegli anni pionieristici. Infatti, scorrendo il monumentale “Atlante di Torino”, si scopre che nel 1904, insieme a Roberto Omegna, cugino di Guido Gozzano, Ambrosio girò i primi documentari italiani, tra i quali la prima corsa automobilistica Susa-Moncenisio, “prima produzione cinematografica a livello industriale in Italia”.

Rinaldo Arturo Ambrosio

La società Film Ambrosio & C.,nel biennio 1906-1907 produsse 188 film, trasformandosi poi in Società Anonima Ambrosio Film. Nei due anni successivi l’attività è frenetica e vengono realizzate ben 475 pellicole. Non solo: negli studi della società torinese “debuttano i maggiori attori italiani, come Eleonora Duse, Tina Di Lorenzo, Armando Falconi, Ermete Novelli”.

Nel 1911 costruisce un grande stabilimento in via Mantova, nel quartiere Aurora, considerato all’epoca il più progredito e innovativo d’Europa. “Sul tetto, fabbricato con lastre di vetro armato, zampilla l’acqua di refrigerazione – si legge sull’Atlante -;all’interno elevatori, ponti, passerelle scorrevoli e sistema di condizionamento dell’aria; 42 camerini con bagno per gli artisti e un’attrezzata sartoria. Il giorno di Natale del 1913 Arturo Ambrosio inaugura anche una sala cinematografica, con annessi locali di ritrovo, che ancora oggi porta il suo nome in corso Vittorio Emanuele II”.

Un’altra figura di spicco del cinema fu l’eporediese Giuseppe Boaro, uno dei pionieri del cinema ambulante in Piemonte. Il 4 ottobre 1910, riposto il lenzuolo bianco e il macchinario per le proiezioni che portava di piazza in piazza su un carrozzone, inaugurò nel centro di Ivrea il cinema Splendor con Rondine, un film interpretato dalla diva del muto Leda Gys.

Maria Adriana Prolo, fondatrice del Museo Nazionale del Cinema, in un articolo pubblicato il primo giugno del ‘52 dalla rivista Cinema (diretta da Guido Aristarco, nella foto a lato, che nell'ottobre dello stesso anno, però, verrà sollevato dalla direzione dall'editore della testata per motivi politici), lo ricordò così: “In una delle principali vie di Ivrea, caratteristica via tra due piazze e nella quale sono ancora vive le tracce di un provinciale Ottocento, si legge, inserita in un lungo cornicione sorretto da sette cariatidi dorate, la seguente epigrafe: Cinema Splendor, Giuseppe Boaro. Il primo che diede in Italia rappresentazioni di cinematografia, microscopia e raggi X, nei principali teatri e nel teatro Reale nel 1897”.

Ricordi importanti per tutto il Piemonte e per Torino che dal Duemila è a tutti gli effetti la città del cinema, festeggiando quest’anno i ventitré anni dall’inaugurazione del Museo Nazionale del Cinema alla Mole Antonelliana e dalla nascita della Film Commission Torino Piemonte. Un segno tangibile dello strettissimo rapporto che lega la città con la settima arte che un grande regista come Ettore Scola, paragonava a “uno specchio dipinto”.


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