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La poesia contadina di Olmi


di Marco Travaglini



Cinque anni fa la scomparsa di Ermanno Olmi lasciò un grande vuoto nella cultura e nel cinema italiano. Il grande maestro morì nel maggio del 2018 ad Asiago, il paese di uno dei suo grandi amici, quel Mario Rigoni Stern che con lui sceneggiò (insieme a Tullio Kezich) il film “I recuperanti “ nel quale Olmi narrava la vicenda di chi si guadagnava da vivere sull’altipiano dei Sette Comuni, recuperando i residuati bellici metallici della Grande Guerra.

Olmi era nato nel 1931 a Bergamo in una famiglia contadina profondamente cattolica e aveva trascorso la sua infanzia tra la periferia milanese e la campagna bergamasca di Treviglio. Terra grassa e umanamente ricca, che undici anni dopo la nascita di Olmi avrebbe dato i natali a un uomo di grande sensibilità, grande calciatore e capitano dell'Inter e della Nazionale, Giacinto Facchetti, prematuramente morto nel 2006.

Per mantenersi agli studi di arte drammatica e poter diventare, seguendo i suoi sogni, regista e sceneggiatore, Olmi trovò inizialmente lavoro alla Edison, dove realizzò una trentina di documentari tecnico-industriali, alcuni dei quali girati in alta Val d’Ossola e Formazza, raccolti nel bellissimo dvd “Gli anni Edison”. Il suo primo lungometraggio “Il tempo si è fermato”, nel quale si parla del rapporto tra uno studente e il guardiano di una diga, è del 1959 e ad esso seguirà, due anni dopo, “Il posto”. Nel 1965 è autore di una straordinaria biografia filmata di Papa Giovanni XXIII (“E venne un uomo”) che realizza magistralmente evitando di fornire un ritratto agiografico del “Papa buono” di Sotto il Monte al quale si sentiva unito dalle comuni radici bergamasche

Regista di rara sensibilità sociale, pioniere nel campo del documentario, Olmi è tra coloro che hanno saputo, con lucidità e grazia, dare voce e immagine agli ultimi, regalandoci autentici capolavori come ”L’albero degli zoccoli”, “La leggenda del santo bevitore”, “Il mestiere delle armi”, “Centochiodi” e il bellissimo “Torneranno i prati”, piccolo-grande film contro la guerra che raccontava il primo conflitto mondiale.

Se per tanti il suo nome è legato alla vicenda della famiglia contadina narrata in dialetto bergamasco de “L’albero degli zoccoli”, con la quale vinse quarant’anni fa la Palma d’Oro al Festival di Cannes che si è appena concluso (senza riconoscimenti per il cinema italiano), è giusto ricordare i suoi ultimi due lavori che richiamano il legame tra la fede e quell’idea di “chiesa dei poveri” legata al Concilio Vaticano II.

Dodici anni fa anni fa Olmi realizzò “Il villaggio di cartone” dedicato al tema dell’immigrazione, nel quale racconta la “conversione” di un vecchio sacerdote che ritrova la fede aiutando gli immigrati clandestini, mentre nel 2017 girò il suo ultimo film, un documentario dedicato a Carlo Maria Martini, l’indimenticabile “cardinale del dialogo”.


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