La lezione di Gutierrez, teologo della liberazione cristiana e umana
di Luca Rolandi
A 96 anni, martedì scorso, 22 ottobre, Gustavo Gutierrez ha terminato la sua corsa nella vita terrena. Una lunga e feconda vita, anche controversa e combattuta e che solo nel 1999, in età già molto avanzata sarebbe diventato padre domenicano. È stato il padre fondatore della teologia della liberazione, icona per gli impoveriti dell’America Latina e per tutti coloro che, seguendo il suo pensiero e i valori evangelici più profondi, si sono uniti ai poveri nelle loro lotte per la giustizia e l’uguaglianza. Con la morte si chiude una stagione di figure straordinarie, nello scenario delle chiese latino-americane, che hanno contribuito alla costruzione di una Chiesa coraggiosa, della democrazia e della libertà in paesi dominati per decenni da dittature e sistemi repressivi che hanno provocato innumerevoli vittime e ridotto in povertà milioni di persone.
Alla base del suo pensiero c'è il più profetico e dirompente brano dei Vangeli: le beatitudini, con l'affermazione della profonda dignità dei poveri, degli ultimi, dei semplici. Ma appare davvero lontana la stagione del post-Concilio che portò Gutierrez, teologo peruviano, a scrivere il saggio “Teologia della Liberazione” che avrebbe inaugurato una stagione di dibattito e confronti sul rapporto tra la liberazione spirituale e quella umana, in rapporto al confronto tra fede e storia, e il rapporto con il marxismo. Fu Gutierrez a coniare l’espressione “opzione preferenziale per i poveri”, poi integrata nel Magistero della Chiesa come cammino fondamentale per vivere la fede. Giovanni Paolo II riconobbe infatti “che l’opzione preferenziale per i poveri non è esclusiva né escludente, ma è ferma e irrevocabile”. Mentre Benedetto XVI, nel 2007 nel santuario di Aparecida, in Brasile, affermò che “l'opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi”.
Tanti i ricordi che si avvicendano nel ricordare il teologo che “piccolo com’era, con la sua piccolezza ha saputo annunciarci il Vangelo con forza e coraggio”, come ha scritto in una nota di cordoglio l’arcivescovo di Lima, il cardinale eletto Carlos Castillo Mattasoglio. Tante anche le immagini che tornano alla mente, a cominciare da quella simbolica dell’11 settembre 2013 di Gutiérrez che celebra la Messa a Santa Marta insieme a Francesco, Papa da circa sei mesi. Loro due, l’uno a fianco all’altro, all’altare della cappellina della Domus vaticana. Di quella teologia della Liberazione, spesso male interpretata e ritenuta dalla reazione cattolica come un dissolversi del messaggio cristiano nel marxismo, cosa resta? Restano tutte le contraddizioni di un mondo malato e violento, dove l’ingiustizia, l’oppressione e la guerra dominano e la testimonianza cristiana di liberazione si allontana e dissolve in riti sempre più vuoti e assai poco profetici.
Nella seconda Conferenza dell’Episcopato dell’America Latina di Medellín (Colombia) del ’68, cui era presente Paolo VI, Gutierrez e altri teologici, Sobrino e Boff, tra gli altri, emerse questa tendenza molto sudamericana, in quell’epoca con i suoi popoli oppressi dalle feroci dittature neofasciste e sostenuto dagli Stati Uniti, una avanguardia nell’applicazione del Concilio Vaticano II, che fece molto discutere. Paolo VI fu aperto al dialogo ma con moderazione, più duro Giovanni Paolo II che mise in discussione le tesi di Gutierrez e i suoi allievi, mettendo in guardia il filone teologico troppo poco tale e troppo politico tendente al rosso e infine Benedetto XVI che in modo più fine ammetteva le istanze profonde della teologia, ma in una dimensione nella quale la storia e l’utopia del mondo dei liberi non fosse un orizzonte umano compiutamente realizzabile in questo mondo.
Le parole di un grande teologo come Severino Dianich, anche lui novantenne e padre dell’ecclesiologia più aperta e pensante del post Concilio, ci aiuta a decifrare Gutierrez e il suo pensiero teologico: “Dei poveri, come è ovvio, mai la Chiesa si era dimenticata e iniziative e istituzioni destinate al soccorso dei poveri, anche di altissima qualità, non sono mai mancate. Neppure la riflessione teologica avrebbe mai potuto ignorarne la problematica, che però veniva impostata esclusivamente sul piano morale e in una prospettiva eminentemente personale. Solo alla fine dell’800 si è sviluppata la coscienza che il problema non era solo di natura morale, ma era un problema politico di fondo, e il magistero ha iniziato, con Leone XIII, a elaborare una dottrina sociale della Chiesa. Solo con la teologia della liberazione, però, di cui Gustavo fu l’iniziatore e il principale protagonista, si è passati dalla considerazione di uno statuto etico, sociologico e politico del povero alla configurazione di un suo statuto teologico, che lo posiziona in maniera rilevante nel quadro della teologia fondamentale, della cristologia e dell’ecclesiologia”.
Il saggio e vecchio teologo meticcio, domenicano e riabbracciato da Francesco, anche se Bergoglio non è mai stato un sostenitore della teologia della liberazione, ci impone una riflessione anche per il futuro nella chiesa e al di fuori di essa. Nel mondo fluido, individualista, desertificato e disumanizzato riprendere quelle pagine potrebbe fare crescere domande di senso più profonde di quelle che si possa immaginare.
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