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  • Menandro

La Festa della Repubblica non parla al femminile

Aggiornamento: 2 giu 2023

di Menandro

Il 2 giugno del 1946, 77 anni fa, l'Italia girò pagina e passò dall'assetto istituzionale monarchico alla Repubblica. Il primo gennaio del 1948 entrò in vigore la Costituzione repubblicana che sostituì lo Statuto Albertino del 1848. Italia, Repubblica e Costituzione sono nomi di genere femminile. Ma non pare che nel nostro Paese il genere sia particolarmente privilegiato. Anzi. Le donne sono mediamente retribuite meno degli uomini sui posti di lavoro; le donne sono le prime a imboccare la strada del licenziamento in caso di riduzione del personale; se sono contrattualizzate a termine e decidono di diventare madri la loro sorte lavorativa è segnata, perché è "buona" regola per il datore di lavoro non rinnovare loro il contratto.

Nell'Italia repubblicana costituzionale fondata sul lavoro, di cui si ricorda gli alti valori nati dalla Resistenza che vide l'importante presenza della donna combattente e non, le donne sono tendenzialmente svalutate proprio nel mondo del lavoro.

Non deve stupire se per effetto di trascinamento, la svalutazione dilaghi in altri campi della vita sociale e se sul carro svalutativo salgano al volo imposizioni, vessazioni, prepotenze, violenze di ogni genere e forma, fino al punto estremo dell'omicidio. La progressione è costante e non potrebbe essere altrimenti in una cultura dominante a senso unico.

Dall'inizio dell'anno sono state uccise in Italia 47 donne, in maggioranza si tratta di delitti passionali in cui un altro ha "scelto" senza discussione alcuna quale sia la soluzione migliore per entrambi... Dietro il numero (elevato) di quelle donne uccise ci sono nomi e cognomi, speranze, ambizioni, desideri di amare ed essere amati, storie ora tutte cancellate.

Anche la pace è di genere femminile. Non a caso è costantemente violata e oltraggiata in una visione della sicurezza sempre unilaterale in cui i limiti sono sempre a carico dell'altra parte, preludio a un deficit audiometrico che inevitabilmente sfocia nell'incomunicabilità che risparmia a chiunque l'onere di giustificarsi. Con queste premesse può accadere qualunque cosa, anche ciò che fino a ieri era ritenuto impensabile e inaccettabile, in un crescendo che rende le decisioni "naturali", come quella dell'Unione Europea che ha deliberato l'ingresso di fatto nell'economia bellicistica, all'interno di una distorsione sempre più palese nella sovrapposizione di ruoli politico-militare che confonde le responsabilità diverse che gli stessi ruoli implicano rispetto ai cittadini europei.

Ma il desiderio di "armiamoci e partite..." nella nuova crociata del XXI secolo è diventato così preminente e prioritario che insieme alla sordità vincerà (vincere è diventato oramai il verbo prediletto imposto dal "cuore" dell'Europa) anche un altro deficit sensoriale, la cecità. Sordi, ciechi e, presto, il passo è breve, anche afoni e muti, perché sarà vietato parlare in pubblico (magari anche in casa, e nessuno si illuda di parlare con la lingua dei segni, le telecamere sono sempre in agguato) in ossequio al famoso motto "silenzio, il nemico vi ascolta".

Del resto, la guerra (genere femminile, ma nessuno è perfetto) la si fa per vincere, anche a costo di perdere la vita. Meglio, se quella degli altri. Vite possibilmente dei più deboli, perché più sono deboli, fragili, esposti, maggiore è il potere della commozione del momento, da usare senza pudore e senza scandalo per i propri fini e obiettivi. Non facciamo gli ipocriti: tra risparmiare vite umane e denaro, vince sempre il risparmio (leggi accumulazione) del secondo. E non è un mistero che il "cuore" dell'Europa si scalda con più rapidità se la mano si appoggia "caldamente" sul portafoglio.


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