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L'ultimo saluto a Fabrizio Morri

Michele Ruggiero

di Michele Ruggiero


Quella mattina, di alcune settimane fa, la sua voce era già flebile da quel letto dell'hospice del San Vito che occupava da circa venti giorni, al penultimo piano, quello della Fondazione Faro, quello del commiato. Ma il suo sguardo, il movimento del viso con quei baffi appena accennati che gli avevano sempre rimandato i tratti di una personalità ironica, si era aperto a un sorriso, alla gioia di rivedere un'altra delle tante persone incontrate nella sua militanza politica e professionale nella sinistra, da giovanissimo nel PdUP-Manifesto di Lucio Magri, poi nel Pci di Alessandro Natta, nel Pds di Achille Occhetto, nei Ds di Piero Fassino, infine nel Pd di Walter Veltroni.

Fabrizio Morri è spirato stanotte. La crudele malattia che l'aveva colpito nel 2017, durante l'assemblea nazionale del Pd, ha prevalso. Verrebbe da scrivere secondo copione, ma sarebbe ingeneroso per chi l'ha combattuta con diligenza e disciplina e con la speranza, mai nascosta, di metterla all'angolo, non battuta, perché sarebbe stato vittima della propria supponenza, ma almeno silente per potergli dare modo di continuare a vivere acconto alla sua Liliana.

Da buon marchigiano d'origine, ma torinese d'adozione, Morri era portato alle battute sferzanti, raramente offensive e le volte in cui era stato tradito dal suo temperamento, come quando disse del Tg1 di Mimun, era il 24 gennaio del 2006, "non lo voglio più vedere quei Tg di m... che nascondono la realtà oltre ad essere faziosi politicamente", si era umanamente dispiaciuto di quella "espressione forte" anche per il garbo istituzionale preteso dal suo ruolo di "responsabile dell'informazione dei Ds", ma non aveva ceduto alle sue convinzioni rispetto al panorama dei telegiornali "tutt'altro che esaltante, sul piano della qualità, della imparzialità e della completezza informativa. Di ciò ho sempre fatto carico alla responsabilità di chi dirige".

La stessa fermezza che aveva dimostrato due anni prima, quando il partito gli aveva chiesto di svolgere le funzioni di "direttore della campagna elettorale unitaria dell'Ulivo" in vista delle elezioni europee, a conferma del pregevole lavoro svolto dall'ingresso nel dicembre del 2001 nella segreteria di Ds, responsabile dell'informazione, espressamente voluto dall'allora segretario Piero Fassino, che per non farsi mancare nulla nell'inizio della nuova avventura politica, perché la prudenza non è mai troppa, aveva collocato nell'organismo ben quattro torinesi su 13 membri: Morri appunto, Mimmo Lucà, Livia Turco e Cesare Damiano, quest'ultimo "risuscitato" dal limbo di segretario regionale della Cgil del Veneto, in cui era stato catapultato su decisione del segretario di corso Italia Sergio Cofferati.

Informazione e coordinamento di un settore cruciale per la politica che avevano reso naturale il suo contributo da capogruppo dei Ds in commissione Vigilanza parlamentare, prima da deputato, poi da senatore. Una posizione di estrema responsabilità gestita con polso, dallo scandalo delle telefonate di Saccà a Berlusconi nel 2007 alle incertezze di viale Mazzini sempre sospeso tra rilancio e conservazione, e comunque sempre tesa a ricercare l'unità d'azione tra le varie anime del Pd, insieme al dialogo con i giornalisti Rai e il loro sindacato Usigrai.

Note tutte romane fin qui. In effetti, dalla nascita dei Ds e fino al 2013, Fabrizio Morri ha vissuto una lunga stagione nella Capitale, in cui Torino aveva un posto più nel cuore che nella politica. Il prima torinese era quello degli anni Settanta e Ottanta, della passione politica a sinistra del Pci, di qualche innocente zingarata, come testimonia il suo fraterno amico Beppe Borgogno, di letture seriose e film divertenti. Un impegno che sul finire del 1984 l'aveva portato all'ingresso nel Pci di Berlinguer, perché quell'uomo carismatico, già morto, continuava ad alimentare speranze di cambiamento della società italiana.

Da quel momento, pur con qualche strappo, la carriera politica di Fabrizio Morri era proseguita in ascesa: consigliere comunale di Torino nel 1987, segretario cittadino, protagonista nei lavori della Costituente del post Pci poi Pds agli inizi degli anni Novanta, sconfitto però da Alberto Nigra nel 1995 nella corsa a segretario regionale dei Ds in una votazione contestato, con più zone d'ombra, poi rilanciato nella segreteria politica dell'assessore regionale Lido Riba e nel 2006, infine eletto in Parlamento.

Nel 2013, dal Cupolone alla Mole, con un ritorno da segretario provinciale del Pd, in un'elezione in cui il suo mentore Piero Fassino, all'epoca sindaco di Torino, non aveva esitato a schierarsi dalla sua parte. Legami di stima e di amicizia, ma non solo: in quel momento, a Fabrizio Morri si riconoscevano doti di equilibrio e di esperienza politica che sarebbero tornati utili al Pd. E così è stato, anche se la malattia improvvisa gli ha impedito di proseguire nell'opera di rinnovamento del partito che aveva avviato con determinazione.

Concludo con le parole, provando le stesse emozioni, di Beppe Borgogno che punteggiano offrono la cifra umana di Fabrizio Morri: "è stato, sempre, un uomo straordinariamente gentile. E ha saputo trasmettere tutte le caratteristiche di questa virtù: la capacità di accogliere, il rispetto, la generosità, la pazienza. Se ci pensiamo bene, tutte qualità sempre più rare, anche nel mondo della politica. E la sua gentilezza ha saputo conservarla fino in fondo, verso le persone a cui ha voluto bene e anche verso chi si è occupato di lui e lo ha curato nel tempo della sofferenza e della malattia.

Perché Fabrizio, negli ultimi anni, ha sofferto tanto. Di una sofferenza che trasforma, che allontana dal mondo di sempre, ed è così difficile da spiegare. Come è difficile spiegare il modo in cui ha combattuto, o il bisogno che gli ha fatto cercare, ostinatamente, di mantenere comunque il rapporto con il mondo da cui il male lo aveva fatto allontanare. Ma gli ultimi anni, per fortuna, sono stati anche la riscoperta di tante belle storie lontane,  e di tanti legami antichi ma ancora vivi. E ciò che rimane, di questi ultimi anni, è però ancora un’altra cosa: il pudore e la dignità con cui lui ha saputo esserci."

Caro Fabrizio, ti sia lieve la terra.

 

 

 

 

 

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