Ada Gobetti: una strada a Venaus ne ricorda l'esempio
- Piera Egidi Bouchard
- 3 giorni fa
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Aggiornamento: 3 giorni fa
di Piera Egidi Bouchard

Il comune di Venaus ha denominato una strada ad Ada Gobetti (1902-1968), moglie di Piero Gobetti (1901-1926), giornalista, scrittrice, figura intellettuale di prestigio, prima donna vicesindaco della Torino liberata.
La comunità valsusina, meno di mille abitanti, con la sua scelta toponomastica ha voluto fissare nella memoria insieme con l'impegno antifascista e il contributo di Ada Gobetti nella Resistenza nelle file di Giustizia e Libertà, e il rapporto che ebbe con il territorio nei venti mesi di lotta partigiana.
La cerimonia di scoprimento della targa - le foto sono di Piera Carbone che ringraziamo per la fattiva collaborazione e disponibilità - si è svolta oggi, 2 giugno e ha avuto come oratrice ufficiale Piera Egidi Bouchard.
In questa giornata del 2 giugno, in cui si festeggia la Repubblica italiana, ringrazio il Comune di Venaus e il suo sindaco, Avernino di Croce, per aver voluto dedicare una strada al nome di una donna che spese la sua vita nell’antifascismo e nella costruzione di un paese democratico rinnovato, e per avermi invitata a ricordarla.

Il rapporto tra Ada Gobetti e la Valle di Susa fu strettissimo, perché gran parte del suo impegno nella Resistenza con “Giustizia e Libertà” fece capo a Meana, dove aveva affittato una casa - oltre che a Torino, in via Fabro 6 (dove ora ha sede il Centro Gobetti da lei fondato nel 1961 con la donazione di quella che era stata l’ abitazione da sposi insieme a Piero Gobetti ).
A Meana veniva anche in villeggiatura Benedetto Croce, che aveva conosciuto e stimato Piero (nel viaggio di nozze i due giovani andarono a Napoli a incontrarlo, a Palazzo Filomarino); il filosofo aiutò poi la giovane vedova con vari incarichi di traduttrice, chiedendole inoltre nel dopoguerra di trascrivere i suoi appunti (scritti in inglese criptico) per farne un libro. Ne venne fuori quel capolavoro della letteratura resistenziale che è il “Diario partigiano”,[1] una miniera di fatti, di avvenimenti, di personaggi ritratti con la vivida penna di una grande scrittrice - non sufficientemente valutata - , e che ci permette di seguire passo passo un percorso di vita quotidiano nelle scelte, nelle sfide, nei pericoli, nei lutti e nei successi.

Ho scritto anni fa con Emmanuela Banfo un libro su Ada[2], e tanta è la ricchezza della sua vita e dei suoi doni – che seppe mettere a frutto, come l’operaio della parabola dei cinque talenti – che sarebbe necessario un saggio per ciascuno di essi ,onde studiare a fondo ogni aspetto della sua creatività e della sua dedizione.
Ada fu musicista e cantante dotatissima, ma si convinse a lasciare quello studio per iscriversi invece a Filosofia, su impulso del giovanissimo ma intransigente Piero (la loro storia d’amore e di straordinario impegno intellettuale inizia che lui aveva 17 anni e lei 16, con la fondazione della rivista “Energie nove” in cui Piero la coinvolge - e di cui il non certo tenero Gaetano Salvemini annota: ”Quei giovani là scrivono e pensano, soprattutto pensano, come pochi padreterni nel nostro giornalismo quotidiano. La loro iniziativa è degna di simpatia e di appoggio”).
Ada patì moltissimo per la rinuncia alla carriera musicale, e il nipote Andrea mi ricordava in un’intervista la nonna al pianoforte nella casa di Reaglie che cantava con una voce splendida e così intensa che una volta fece saltare una corda del pianoforte...

La sua vena artistica si riversò così nella scrittura: non solo il “Diario partigiano”, ma novelle (come “Il gallo Sebastiano” e “Cinque bambini e tre mondi”, filastrocche e poesiole). Fu inoltre traduttrice dall’inglese, in particolare di saggi e romanzi americani.
Qui si inserisce il suo impegno di pedagogista, che la portò a fondare nel 1959 “Il giornale dei genitori”, che dirigerà fino alla morte, nel 1968, quando il testimone passerà a Gianni Rodari, introducendo idee innovative, nella convinzione che bisognava trasmettere “valori condivisi” tra adulti e ragazzi, e riflettendo sulla necessità di un cambiamento di mentalità rispetto al passato, in funzione della nuova vita democratica da costruire. E con queste convinzioni fu anche insegnante di lingua e letteratura inglese (1928-1936). Quante riviste ha redatto Ada, a partire da quelle con Piero ”Energie nove” (1918-1920) “La rivoluzione liberale“ (1922-1925) e “Il Baretti” (1924- 1928)...!
Questa battaglia di rinnovamento culturale la porta a intervenire anche in modo più ampio, come giornalista, su temi di attualità, di costume, collaborando con l’Unità, Paese sera, Il Pioniere, e con rubriche fisse, come “La posta dei lettori” su l’Unità (dal 1957) o “Vita con mio figlio” su Noi donne.

E poi certamente Ada fu una dirigente politica. Troviamo nel "Diario partigiano" le sue articolate riflessioni sulla fondazione dei “Gruppi di difesa della donna” durante la Resistenza, che lei – non “femminista” ma fortemente partecipe di solidarietà con le altre donne - interpreta come “una specie di CLN femminile”. Ada è consapevole delle sue capacità politiche, ma anche delle difficoltà nel suo essere donna: in una pagina del “Diario “scrive con acutezza: “ Pensavo che avrei potuto benissimo essere ‘commissario politico’ per le formazioni G.L. della Val Susa. Senza finta modestia, mi sento che potrei farlo benissimo. Ma è inutile, penso, che ne parli con gli amici, che solleciti la ‘carica’, anche perché difficilmente saprei indurmi a farlo. L’importante è che io ‘funzioni’ come commissario politico". Ecco qui il pragmatismo di Ada.
Questa carica le sarà successivamente attribuita nella IV Divisione alpina G.L. (la famosa ‘Stellina’ comandata da Giulio Bolaffi - nome di battaglia Laghi -, e sono ambedue immortalati a guerra finita in una bellissima fotografia con Ada piccolina con un mazzo di fiori in mezzo agli alpini partigiani ): con questo ruolo sarà riconosciuta nel dopoguerra come “maggiore” dell’esercito di Liberazione, e le sarà conferita la medaglia d’argento al Valor Militare. Notiamo però che lei non toccò mai un’arma, se non per scherzo, come in quella fotografia quando inginocchiata prende la mira con una... scacciacani: così come le sue amiche e compagne di tanto impegno e di tanti rischi Frida Malan, Silvia Pons, Bianca Guidetti Serra.

Le sue capacità di dirigente emergeranno a guerra finita con la nomina da parte del CLN a vicesindaca di Torino: si occuperà in particolare, oltre che dell’istruzione, dell’assistenza, organizzando un servizio di vettovagliamento e alloggio per quei partigiani meridionali (tanti, gli storici ne hanno calcolati 6.000 in Piemonte) che erano in procinto di rientrare nelle loro famiglie nel Sud Italia). Me lo testimoniò Nino Criscuolo, generale degli alpini, comandante della Divisione Val Sangone, medaglia d’oro Mauriziana, che nella Torino liberata fece parte del Comando di Piazza, ricordandola in un’intervista come “una donna molto efficiente, dalla mente aperta e volitiva e dal cuore grande e generoso.”[3]
Tornando a Meana, sappiamo quanto fu importante per lei quella casa, un rifugio dall’inferno della guerra che fin da subito colpisce Torino con l’occupazione dei carri armati nazisti: “Giungere a Meana fu come ritrovare un dimenticato paradiso. Qui la dissoluzione non era ancora giunta. – scrive nelle prime pagine del “Diario”- Tra i castagni dorati del tramonto, rientravano i carri, carichi di fieno; da ogni casa si levava nel cielo il fumo del focolare. S’udivano giochi di bimbi, gridar d’animali. Come se tutto il mondo fosse in pace.”
Eppure tra quelle mura si svolsero poi negli anni un’infinità di incontri dei protagonisti della Resistenza in Val di Susa e Torino. E c’è tutta la Valsusa in queste pagine, in particolare Oulx, in cui la splendida antica magione del magistrato di Susa, Alessio Alvazzi del Frate [4] - padre del giovanissimo Cesare, partigiano insieme a Paolo, figlio di Ada e da lei teneramente amato -, costituirà più volte un punto d’appoggio e un rifugio. Significativamente proprio il Centro Gobetti appose una targa in ricordo di Ada su quella casa di Meana, nell’autunno 1994, invitando Giorgio Bouchard, che era da poco stato nominato pastore della chiesa valdese di Susa a fare l’orazione ufficiale (e a Meana c’era e c’è tuttora una comunità battista, di cui alcuni membri sono citati nel “Diario”) .
Giorgio aveva certamente conosciuto Ada e il Centro Gobetti, quando venne a Torino su invito del partigiano e pacifista valdese G.L. Sandro Sarti a parlare in una veglia pubblica per la pace in Vietnam nella vigilia di Natale del 1966, intervenendo con Norberto Bobbio, Sergio Garavini e - per telefono – con il teologo antinazista Martin Niemoeller.[5] Giorgio dedicherà poi ad Ada la prefazione del libro scritto da Emmanuela Banfo e da me, rilevando come per questa “laica di stampo kantiano, non ostile nei confronti di esperienze autenticamente ‘evangeliche’”, la vita si sia tutta espressa nella prassi .”
Il prossimo anno 2026, a cent’anni dalla morte di Piero Gobetti, ci apprestiamo a ricordarlo, con le iniziative in particolare del Centro che da lui prende nome: senza poter dimenticare il ruolo che ebbe Ada come compagna di vita e di ideali e custode e promotrice della sua memoria.
Note
[1] Ada Gobetti, “Diario partigiano”,Einaudi, I edizione 1956.
[2] Emmanuela Banfo, Piera Egidi Bouchard,”Ada Gobetti e i suoi cinque talenti”,prefazione di Giorgio Bouchard, Claudiana,2014.
[3] cfr. P. Egidi Bouchard, ”...Eppur bisogna andar...”,p.123, Claudiana,2005
[4] P. Egidi Bouchard, “Alessio Alvazzi Del Frate-‘Honeste vivere’”- prefazione di Giovanni Tesio, Introduzione di Alessandro Galante Garrone, Claudiana, 2011.
[5] “Giorgio Bouchard- Fede,etica,politica”- a cura di Piera Egidi Bouchard e Andreas Koehn- prefazione di Alessandra Trotta,p.64 ,Claudiana,2024.
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