Alberto Trentini, 198 giorni nelle carceri venezuelane
- La Porta di Vetro
- 1 giu
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"Per ora, i crimini di cui è accusato e il luogo di reclusione sono sconosciuti". La frase non è riferita a Alberto Trentini, l'operatore umanitario privato della libertà da 198 giorni, ma potrebbe esserlo, perché è quella più comune e ricorrente per coloro che non sono graditi al governo del presidente Maduro. In Venezuela, infatti, la prospettiva di entrare a far parte della popolazione carceraria aumenta in misura esponenziale, se si è un oppositore politico. Prima delle ultime elezioni regionali di domenica scorsa, che si è tradotto in un plebiscito o quasi per l'alleanza che puntella la compagine al potere in Venezuela, le porte del carcere si sarebbero spalancate, secondo i quotidiani venezuelani, per una settantina di persone. Tra queste, l'attenzione dei media si è appuntata su Catalina Ramos, coordinatrice nazionale delle Associazioni cittadine di Vente Venezuela (movimenti politico che si definisce liberale, per altri di estrema destra, guidato María Corina Machado) ed ex presidente dell'associazione degli ex studenti dell'Università Simón Bolívar.
Biologa, madre di tre giovani, di Catalina Ramos non si conosce né crimine, né la struttura in cui è reclusa. Più organizzazioni sindacali ne hanno chiesto la liberazione, insieme al rispetto dei diritti umani, della legittima difesa e del giusto processo, e di avere contatti con la sua famiglia e i suoi avvocati. Diritti che dovrebbero valere per tutti le persone incarcerate, incluso Alberto Trentini, arrestato il 15 novembre scorso, detenuto nel carcere (ma sarà ancora cosi?) di El Rodeo I, periferia di Caracas.
Ma chi avanza questi diritti per il nostro connazionale?
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