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Aggiornamento: 2 giorni fa


Anouar Brahem, l'arte non può essere scollegata dalla realtà

a cura del Baccelliere


Si diceva negli anni Settanta che tutto fosse politica o che, almeno, tutto alla politica dovesse essere ricondotto. Poi venne il riflusso e certi paradigmi passarono di moda. Tuttavia le coniugazioni dei verbi - al presente o al futuro a seconda dei casi - rimangono anche se non si ricordano i paradigmi.

Oggi più che mai ci sentiamo di dirlo. L’arte non può essere scollegata dalla realtà. E piaccia o meno, la politica ne condiziona gli avvenimenti. Di fronte a tragedie come quella a cui stiamo assistendo a Gaza, anche chi non ha il temperamento per dipingere Guernica non può che essere influenzato da quanto sta accadendo. Non costituisce eccezione la musica strumentale che, pur nella consapevolezza del significato prettamente astratto e quindi dell’impossibilità di esprimere idee, contiene richiami emotivi alla realtà.

Anouar Brahem, tunisino, classe 1957, suona l’oud, il liuto mediorientale, che ha studiato al Conservatorio di Tunisi e di cui è uno dei massimi interpreti a livello mondiale. La particolarità di questo musicista risiede nel fatto che, pur avendo dedicato la sua vita ad uno strumento tipicamente tradizionale, lo ha portato in contesti progressivi basati sulla contaminazione. Dal 1991 incide per l’ECM, l’etichetta discografica tedesca che Manfred Eicher ha guidato su sentieri inesplorati. La sua è stata anche una carriera di incontri, avendo collaborato con colleghi provenienti da tutto il mondo. L’oud è tradizionalmente impiegato nell’accompagnamento. Brahem ne ha fatto uno strumento solista, il tramite per far dialogare la musica araba con i linguaggi dell’improvvisazione.

In questa primavera Anouar Brahem ha pubblicato After the last sky1. Il disco è stato concepito nella seconda metà del 2024, nel corso dell’intensificarsi del dramma di Gaza. Vi collaborano la violoncellista Anja Lechner, il pianista Django Bates e il contrabbassista Dave Holland2. La musica ha tonalità soffuse e struggenti. La tragedia del popolo palestinese ritorna nei titoli, ora come nostalgia, in The sweet oranges of Jaffa, ora a ricordarci un esodo infinito, con Endless wandering.

Quest’opera, tenue e non urlata, è un atto politico, la rappresentazione del sentimento di fronte all’orrore. Sgomento, tristezza, richiamo all’umanità. A chi ci ha letti fino ad ora, proporremmo di ascoltare Awake3, brano che, con il suo incedere incalzante, invita a più di una riflessione.


Note

[1] Titolo ispirato a una lirica di Mahmoud Darwish che recita “dove andranno a finire gli uccelli dopo l’ultimo cielo?” .

[2] Sono un tunisino, un’austriaca, un americano e un inglese: sembra una barzelletta ma suonano insieme!

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