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"Senza scuola non c'è presente, né futuro, fuori come in carcere"

di Stefano Capello


 Nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”

Matteo 25,36

 

Nelle scuole pubbliche italiane, come è noto, tra le materie d’insegnamento è presente anche l’IRC (Insegnamento della religione cattolica ). Sono ben conscio del dibattito che vede questa materia messa in discussione per vari motivi, tuttavia non è mia intenzione in questa sede difendere la mia materia, quanto piuttosto ribadirne l’importanza della presenza della scuola in contesti speciali (ospedali, carceri, scuola serale). Non solo, della scuola, ma delle persone che fanno scuola in questi contesti e degli alunni che vivono in questi luoghi di fragilità.

Alcuni giorni fa mi trovavo davanti al carcere di Torino Lorusso e Cutugno insieme a molti altri che come me credono nella scuola.[1] Mentre, all’interno del carcere, alcuni politici incontravano in modo più istituzionale il personale e la Direzione carceraria, e naturalmente gli studenti , io con molti altri mi trovavo all’esterno.

Una sorta di staffetta dentro/fuori per tentare di portare l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica il problema. In un quadro di un generale  ridimensionamento dell’istruzione degli adulti, lo stop a due classi del liceo artistico (oltre che al ridimensionamento delle classi del Plana e del Giulio) che opera all’interno del carcere, appare come l’inizio di un percorso di chiusura della scuola all’interno del carcere. Chi c’era fuori? Eravamo in tanti: professori, sindacalisti, volontari che prestano servizio in carcere, rappresentanti di associazioni e liberi cittadini.

I motivi? Tanti come le persone: la preoccupazione per la perdita della cattedra, la preoccupazione per la perdita al diritto allo studio, la preoccupazione che senza scuola aumentino le recidive, la certezza che senza la scuola non c’è presente e tantomeno futuro. Eravamo tanti, avevamo tanti motivi, ma cosa ci ha uniti? L’uomo. Tutti uniti, credenti e non credenti, laici e religiosi. Perché non ci sono malati o detenuti ci sono uomini, uomini come noi.

Venendo allo specifico, l’insegnante di religione sempre, a maggior ragione in questi luoghi è a servizio dell’uomo così come Gesù ha insegnato. Cosa significa dunque insegnare religione in carcere?

Insegnare in carcere vuol dire abitare uno spazio difficile, ma che fa parte del tessuto sociale del territorio. La scuola in carcere è innanzitutto una faccenda di giustizia prima che di carità.


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