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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA: salvare il dialogo per salvarsi dall'etica della violenza

di Germana Tappero Merlo

Pramila Jayapal è la portavoce dell’ala progressista del Partito Democratico statunitense e protagonista dell’audace quanto accidentale divulgazione di una lettera di 30 esponenti del suo gruppo che chiedevano al presidente Joe Biden un cambio di strategia verso l’Ucraina, invocando “una spinta diplomatica proattiva, raddoppiando gli sforzi per cercare un quadro realistico per il cessate il fuoco”[1]. In pratica, basta invio di armi e l’avvio, invece, di un tavolo di trattative per una tregua. La lettera, prontamente ritirata con tanto di scuse sulla svista dello staff che l’avrebbe divulgata senza consenso dei firmatari, in un ossimoro di logica di comportamento, risalirebbe all’estate scorsa, ma la sua pubblicazione, a pochi giorni dalle elezioni di mid-term statunitensi, ha sollevato il caos nel mondo Dem americano.


L'interesse personale über alles

E sì, perché invocare un cambio così netto di strategia politica e diplomatica, in un contesto conflittuale per la difesa del diritto sacrosanto dell’Ucraina a tutelarsi dall’invasore russo, con tutto ciò che in questi mesi di guerra è stato narrato, detto e fatto dagli Stati Uniti e dai suoi alleati contro la Russia, potrebbe costare caro politicamente a parecchi dei firmatari di quella improvvida lettera di buon senso, come appunto una mancata rielezione l’8 novembre prossimo. In pratica, va bene essere contro la guerra e magari anche invocare il dialogo, ma se in gioco c’è il mio seggio alla Camera o al Senato, che la guerra continui. Ma non solo: non si cerchi affatto il dialogo, non ora per lo meno. Certamente vi sono momenti più adatti ed opportuni per le trattative se è vero che, come affermato dal portavoce del consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, “spetta a Zelensky determinare che cosa rappresenti un successo e quando negoziare”[2]. Ma è pur vero che la parola “dialogo” nel conflitto Ucraina-Russia crea disagio se non addirittura panico nel mondo politico occidentale, seppur ora si intraveda qualche crepa.

E qui il ragionamento si fa complesso ma riflette, di fatto, l’approccio alla politica di quest’era in cui l’estremizzazione del manicheismo, della lotta fra il Bene e il Male assoluti, e che da tempo si risolve in un risoluto “noi” contro “loro”, di fatto, sta impedendo ogni forma di soluzione mediata. Perché l’unico criterio ammesso nel confronto politico, oramai, a tutte le latitudini e nei più svariati ambienti, anche nel nostro nazionale, è quello dell’annichilimento dell’avversario. L’antagonista politico è il nemico o, peggio, un arcinemico da sopprimere, per quella che è la prassi diffusa di ciò che il filosofo Leo Strauss definiva della reductio ad hitlerum[3] del rivale, quell’equipararlo al più immorale, spregiudicato e spietato modo di fare politica, al fine di screditare l’altro senza più alcuna possibilità di riscatto e, di conseguenza, di giungere a qualsiasi forma di compromesso.


Il nemico va sconfitto, anzi no... schiacciato

In pratica, il contrasto di posizioni, a qualsiasi livello, sembra ora essere sostituito dal disprezzo non solo ideologico ma soprattutto umano, tanto da impedire di delineare vie d’uscita coerenti e sostenibili. E se è comprensibile l’alzata di scudi alla proposta di trattare con i più sanguinari terroristi, attori non-statali e rappresentanti del nulla se non della loro crudeltà - come si fece promotore nel 2014 l’allora grillino Di Battista nei confronti dell’Isis - nel conflitto oggi fra Ucraina e Russia non debbono prevalere la rabbia e lo sdegno sulla ragione e sulla buona volontà, quando dall’altra parte vi è il massimo rappresentante di uno Stato seppur ora nemico.

Per come si sta estremizzando gran parte del mondo[4], anche occidentale, istituzionalizzato e sovrano,[5] si rischierebbe infatti solo un monologo, un drammatico assolo, finendo per dare ragione all’avversario quando afferma che “si sta aprendo il decennio più pericoloso, imprevedibile e importante dalla Seconda guerra mondiale”[6]. Eppure questo è il risultato della polarizzazione della politica che si è estremizzata al punto da far sì che paia dissennato chi vuol fare il primo passo verso il dialogo; perché in un universo come quello dei rapporti politici attuali, dove l’unico modo per liberarsi dal nemico e dalla paura della morte, è la vittoria totale sull’odiato antagonista, nessuno vuole cominciare per primo a deporre gli strumenti da cui il proprio successo finale può dipendere.


La lezione di Norberto Bobbio

Si tratta dei meccanismi che ben sottostanno all’isteria politica contemporanea e ben espressi in un discorso di Norberto Bobbio, Etica della potenza ed etica del dialogo[7] compiuto esattamente quarant’anni fa presso l’Università Cattolica di Milano. La minaccia allora era quella del confronto nucleare, quindi addirittura coincidente a quella che stiamo vivendo in questi mesi[8] ed in queste ore, fra accuse reciproche di operazioni false flag per bombe sporche e dopo l’annuncio di Biden di accelerare i piani di dispiegamento di ordigni nucleari tattici B61-12 nelle basi Nato in Europa, a sostituire quelli vecchi già esistenti, previsto per la primavera prossima ma anticipato a dicembre.

Il punto evidenziato da Bobbio, all’inizio degli anni ’80, era che fosse necessario il dialogo con il nemico ben oltre il solo parlarsi (“beninteso, non basta parlarsi per dialogare”), perché anche la parola può essere usata come forma di dominio. E come dargli torto alla prova dei fatti di una nostra contemporaneità iperconnessa, fatta di post e tweet delle alte cariche istituzionali, soprattutto statunitensi, che hanno imperversato in rete, fatto politica, fatto nascere e modellato movimenti di pensiero attraverso le piattaforme social e di messaggistica criptata. Un pensiero a volte addirittura così estremo, in cui ben si configura quel terrorismo stocastico che è, in pratica, l’incitamento alla violenza, sdoganata dalla retorica politica cospirazionista, attraverso la comunicazione di massa (Trump docet)[9], di cui si hanno esempi ormai quotidiani, come, fra gli ultimi, l’aggressione in casa della speaker democratica Nancy Pelosi.


"Pacta sunt servanda" tra Reagan e Gorbaciov

Il richiamo fondamentale per il dialogo era, per Bobbio, l’etica, “la condizione cioè che ognuno dei due si fidi dell’altro” nel rispetto, appunto, dell’antagonista come soggetto e non il suo abbassamento ad oggetto e che, quindi, venisse onorata la regola morale pacta sunt servanda. Un invito che sembrò essere accolto dalle superpotenze guidate allora da Ronald Reagan e Michail Gorbaciov, e la firma nel 1987 dell’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty, che sancì lo smantellamento di tutti i missili nucleari con gittata tra i 500 e i 5.000 chilometri di Stati Uniti e Unione Sovietica. Trattato che poneva fine alla Guerra fredda, almeno temporaneamente, visto che gli Stati Uniti si sarebbero ritirati da quegli accordi nel 2019 dopo un acceso scambio di accuse con Mosca circa reciproche violazioni[10]. E a prescindere da chi sia stato ad iniziare per primo, così facendo si è imposta nuovamente l’etica della potenza su quella del dialogo, la logica della sopraffazione contro quella della cognizione.

Il rischio di correre verso quella pericolosa deriva sembra essere più che mai attuale, soprattutto se si considera l’aggravante che nella dialettica politica occidentale a noi contemporanea, il ricorso alle armi e alla fermezza nichilista, anche in virtù della minaccia dell’uso del nucleare, venga giustificato da scopi salvifici e liberatori per l’umanità intera da cui la definizione, addirittura, di un’etica della violenza. Perché il ricorso a quest’ultima viene ora argomentato e legittimato dal suo fine supremo, la salvaguardia del genere umano, da cui dogmi, principi o valori così elevati per cui si è disposti ad uccidere e a morire.


Si eviti lo spirito di crociata, si evitino i fanatismi

Quali, quindi, le soluzioni a questo destino di violenza a cui sembriamo, a vari livelli, destinati? È sicuramente necessario disintossicarsi dall’odio e dalla violenza che permeano una cultura che oggigiorno passa attraverso i grandi strumenti di comunicazione, per mezzo di una iperconnettività che pare sempre più armata[11] e che sovente viene sminuita, pericolosamente, a sola propaganda dell’avversario. La grande sfida sta appunto nel disarmare questa connettività, recuperando una prassi politica che vada oltre e, come affermato allora da Bobbio, “faccia cadere i molti muri di Berlino che ciascuno di noi ha innalzato fra sé e i diversamente pensanti (…) evitare di dividere il mondo in rossi e neri e dopo averlo diviso star sempre dalla parte dei rossi contro i neri o dalla parte dei neri contro i rossi. Non accettare lo spirito di crociata, lasciarlo ai fanatici di tutte le sette”[12].

Insomma, recuperare il dialogo, il buon senso, ed il significato più profondo della parola etica, annichilita in questi anni perché sacrificata a favore della sprezzante prevalenza dell’economia sulla politica, nella spasmodica ricerca del proprio tornaconto individuale a scapito dell’interesse della collettività. Solo con il ritorno all’etica e al riconoscimento dell’altro, per quanto violento e scellerato, come persona non solo giuridica ma anche in senso morale, solo così, appunto, sarà possibile ritrovare la fiducia nella politica e nei suoi strumenti di dialogo, laddove ora l’interesse del singolo, il mantenimento del proprio seggio al Parlamento o al Congresso travalica, rema contro e annienta il benessere e la salvaguardia dell’intera collettività e della razza umana.



Note [1]https://www.theguardian.com/us-news/2022/oct/25/democrats-joe-biden-ukraine-war-russia-letter [2]https://www.washingtonpost.com/politics/2022/10/24/biden-ukraine-liberals/ [3]L. Strauss, Droit naturel et histoire, Paris 1954; A. de Benoist, La Nuova Censura. Contro il politicamente corretto, Napoli 2021. [4]M. Naim, Il tempo dei tiranni, Milano 2022. [5]A. Simoni, Ribelli d’Europa. Viaggio nelle democrazie illiberali da Visegrád all’Ucraina, Roma 2022. [6]https://www.themoscowtimes.com/2022/10/27/putin-says-decade-ahead-most-dangerous-since-wwii-a79216 [7]Il discorso si tenne il 31 dicembre 1982. Si veda N. Bobbio, Etica della potenza ed etica del dialogo, in “Vita e Pensiero”, n.3, 1983, ripubblicato e disponibile on line a questo indirizzo https://www.vitaepensiero.it/scheda-articolo_digital/norberto-bobbio/etica-della-potenza-ed-etica-del-dialogo-888888_2014_0001_0020-168583.html [8]https://www.laportadivetro.com/post/l-editoriale-della-domenica-60-anni-fa-la-crisi-dei-missili-a-cuba; https://www.laportadivetro.com/post/armi-nucleari-tattiche-l-opinione-militare [9]G. Tappero Merlo, Dalla paura all’odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo, Trento 2022, p. 273. [10]https://www.armscontrol.org/factsheets/INFtreaty [11]M. Leonard, The Age of Unpeace, London 2021. [12]N. Bobbio, Etica della potenza, op.cit.

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