top of page

L'Editoriale della domenica. I divieti di Valditara e le richieste d'aiuto dei giovani  

Aggiornamento: 14 lug

di Anna Desanso


ree

C’è una reazione istintiva che spesso accompagna il mondo adulto di fronte a ciò che non comprende o che teme: vietare. È una scorciatoia rassicurante, un modo per ristabilire un ordine apparente. È successo con la musica nei walkman, con i videogiochi, con i social. Oggi succede con i cellulari a scuola.

La nuova direttiva ministeriale ribadisce il divieto dell’uso degli smartphone durante le lezioni anche per il secondo ciclo d’istruzione, se non per finalità didattiche. Una misura che, sulla carta, tutela l’attenzione, il rispetto e il diritto allo studio, ma che, nella pratica, rischia di diventare un gesto simbolico, più che trasformativo. Perché vietare non è educare. Spegnere un telefono non significa accendere la consapevolezza.

 

Un esercizio di realtà

Gli studenti di oggi non usano la tecnologia: ci vivono dentro. Sono nativi digitali cresciuti in un universo fatto di notifiche, connessioni istantanee e identità virtuali. Lo smartphone non è solo nelle loro mani, è nella loro quotidianità, nella loro mente, nella loro voce. È archivio di emozioni, rifugio di pensieri, canale di relazione. È diario e agenda, specchio e confine, confidente e palcoscenico. Proibirlo senza spiegazioni è come chiudere una finestra sulla realtà che loro abitano ogni giorno.

Pensare di arginare la distrazione o la disconnessione scolastica con un semplice divieto è come cercare di fermare il vento chiudendo le finestre: il rumore si placa, ma la corrente continua a muoversi dentro.

Vietare senza educare è un’occasione persa. È un’illusione di controllo che lascia intatto il vuoto di senso. Perché ciò che manca non è la disciplina, ma l’alleanza. Servono adulti che scelgano di capire prima di giudicare, che sappiano costruire ponti tra il linguaggio digitale e il valore educativo. Perché quando la scuola sceglie solo il “no”, abdica al suo compito più grande: accompagnare i ragazzi a vivere la complessità del reale.

 

L’effetto panopticon

Nel saggio Sorvegliare e punire, Michel Foucault introduce il concetto di panopticon: un modello di architettura carceraria concepito per permettere a un solo sorvegliante di osservare simultaneamente tutti i detenuti, in modo invisibile e continuo.

Nella scuola, l’effetto panopticon si manifesta quando il controllo silenzioso e pervasivo prende il posto dell’ascolto: gli studenti si sentono osservati costantemente, non per essere accolti, ma per conformarsi e la sorveglianza diventa più potente del dialogo.

Qual è il futuro che ci attende?

Gli effetti di questo approccio sono già evidenti: crescono i casi di fobia scolare, si acuiscono i sintomi dell’ansia sociale e si conferma, anche secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, un peggioramento generale dello stato di salute mentale tra adolescenti e preadolescenti.

 

Un antidoto chiamato presenza

Dal mio piccolo osservatorio come docente ho assistito negli ultimi anni a un’impennata vertiginosa di situazioni di disagio e di abbandono scolastico. Cresce il numero di studenti che non riconoscono più la scuola come spazio di appartenenza, ma la percepiscono come un ambiente rigido e impersonale, dove l’unico valore misurabile è la performance e l’aspetto umano viene lentamente eroso. Il rifiuto dell'orale alla maturità si può inscrivere lecitamente in questa traiettoria.

Durante l’ultima sessione d’esame di maturità ho avuto l’occasione di incrociare queste riflessioni attraverso le parole profonde di uno studente che ha scelto di confrontarsi con la traccia di tipologia C2: “L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?”. In quel tema emergeva con forza una tesi lucida e toccante: l’indignazione digitale come tentativo estremo di far sentire una voce che, nella vita reale, spesso non trova spazio. Un grido trattenuto, una richiesta di senso che rimbalza tra le pareti virtuali perché quelle fisiche sembrano refrattarie all’attenzione e alla cura.

Le sue parole mi hanno interrogato e hanno confermato le scelte che ogni giorno faccio fra i banchi di scuola,

scelte che non sempre coincidono con le pratiche più comode, né con le aspettative standardizzate del sistema, ma che rispondono a un principio più radicale: restare fedeli alla dimensione umana dell’educare.

Quel tema non parlava solo di indignazione sui social, ma lanciava un appello di verità e riconoscimento, uno spazio reale per esistere al di fuori della performance e del rumore digitale.

E’ da queste piccole epifanie che nasce la convinzione che la scuola debba tornare a essere un luogo abitato, non sorvegliato. Uno spazio dove si coltivano dubbi, non solo risposte; dove si è autorizzati ad essere vulnerabili, non solo competenti. Dove l’ascolto, quello vero, quello che accoglie senza classificare è il primo atto pedagogico.

 

Umanizzare l’approccio

La voce dello studente, raccolta in quel tema sull’indignazione, non era solo una riflessione su un fenomeno digitale. Era una richiesta di senso, un appello educato ma urgente alla scuola intera: “Guardateci davvero. Non basta valutarci. Non basta correggerci. Spiegateci chi siamo, aiutateci a esistere.”

E’ lì che l’educazione ritrova il suo compito più nobile: non addestrare, non uniformare, ma illuminare. Illuminare il volto nascosto dietro ogni ragazzo, la storia dietro ogni silenzio, il coraggio dietro ogni esitazione.

La scuola, se vuole restare viva, deve scegliere ogni giorno di essere spazio abitabile, non osservatorio sterile. Deve rinunciare alla paura del cambiamento e abbracciare la complessità che i nostri ragazzi portano dentro. Solo così potrà tornare a essere ciò che promette: luogo dove l’umano cresce, non dove l’umano si misura. E forse, solo così, l’indignazione di uno studente potrà trasformarsi in partecipazione, coscienza, futuro.

 

Commenti


L'associazione

Montagne

Approfondisci la 

nostra storia

#laportadivetro

Posts Archive

ISCRIVITI
ALLA
NEWSLETTER

Thanks for submitting!

Nel rispetto dell'obbligo di informativa per enti senza scopo di lucro e imprese, relativo ai contributi pubblici di valore complessivo pari o superiore a 10.000,00, l'Associazione la Porta di Vetro APS dichiara di avere ricevuto nell’anno 2024 dal Consiglio Regionale del Piemonte un'erogazione-contributo pari a 13mila euro per la realizzazione della Mostra Fotografica "Ivo Saglietti - Lo sguardo nomade", ospitata presso il Museo del Risorgimento.

© 2022 by La Porta di Vetro

Proudly created by Steeme Comunication snc

LOGO STEEME COMUNICATION.PNG
bottom of page