L'Editoriale della domenica. Giorgio Armani, argine di pace contro l'orrore dei nostri giorni
- Mariella Fassino
- 13 set
- Tempo di lettura: 3 min
di Mariella Fassino

Le celebrazioni di Giorgio Armani ci accompagnano dal 4 settembre, dal giorno della sua scomparsa. Due settimane in cui la sua immagine, il volto abbronzato e sorridente illuminato da occhi azzurrissimi, si è diffusa con un'accelerazione esponenziale sui media, contrastando, quasi una salvifica pausa, le fosche fotografie di bambini affamati, di palazzi e villaggi distrutti, di predicatori deliranti freddati dai moderni giustizieri, a cui ci stiamo abituando nel leggere l’umanità, una fragile umanità, ostaggio di barbarie e di orrore.
Sono giorni che ci hanno fatto apprezzare un uomo molto popolare, che in tempi di pace ha coltivato lo stile, l’eleganza, la creatività con arguto spirito imprenditoriale. Potremmo riflettere sul fatto che gli abiti in fondo sono solo una futilità, un narcisistico orpello, eppure è dalla notte dei tempi che noi umani, anche per spirito di fratellanza, sentiamo la necessità di adornarci di piume e perline, di dipingerci la pelle e i capelli, di far parlare di noi il nostro corpo e il suo andare per il mondo. Abbiamo cercato fuori e dentro di noi la bellezza coltivando le forme, i volumi i colori attraverso le arti di cui la moda è espressione e incarnazione.
Non ho mai incontrato il cittadino onorario, re della moda a Pantelleria, nelle tante estati pantesche, anche se tutti ne parlavano come di una presenza familiare nell’isola. Un uomo discreto che talvolta si concedeva i bagni di folla andando in paese o nei locali più popolari, si lasciava avvicinare, salutare, fotografare dai panteschi che ne parlavano con orgoglio e riconoscenza, lodando la sua generosità come munifico benefattore dell’ospedale (aveva regalato una TAC), del cine-circolo S. Gaetano (aveva donato un proiettore) e denaro alle istituzioni del Comune di Pantelleria.
A Cala Gadir , la parte dell’isola che guarda l’alba, ci sporgevamo curiosi oltre il parapetto della provinciale per ammirare il degradare dei tanti dammusi bianchi che facevano parte della sua proprietà con il palmeto, gli ulivi, le viti immaginando una casa da Re della bellezza. Ma oltre quegli spazi creati dall’uomo e dalla sua fantasia, si aprono nell’isola altri orizzonti: le scogliere aspre a picco con il blu calmo o schiumante, i fitti terrazzamenti, le notti stellate e l’arco lattescente che ne attraversa il cielo da Nord a Sud quando l’atmosfera è tersa e la luna nascosta. Un paesaggio che invita a farsi piccoli e a lasciare che l’estate diventi per l’uomo comune il luogo in cui si può concedere il lusso di contemplare la bellezza.
Per Armani la bellezza era quotidianità, ciò che per l’uomo comune è un lusso, per l’artista è il lavoro di tutti i giorni. La bellezza che irradia dal corpo era la materia prima del suo lavoro, interesse non banale inscritto nella nostra civiltà. Noi umani siamo attratti dai corpi dei nostri simili li guardiamo, li ammiriamo, li critichiamo, esercitiamo il nostro occhio fin dall’infanzia a cercare nel corpo dell’altro la forma, l’armonia o le dissonanze le coordinate della nostra e dell’altrui identità. Su questo intreccio degli sguardi si gioca la grande fortuna degli stilisti amplificata ovviamente dal narcisismo che permea ogni aspetto della nostra vita sociale.
Ora che l’estate sta finendo e la celebrazione dell’uomo e della sua arte si sta progressivamente diluendo e declinando, ci dispiace che le immagini della bellezza immaginata e fatta concreta dall’artista stiano cedendo il passo a quelle del cattivo gusto, della violenza, dell’orrore e alle parole strumentali contro la parte politica avversa per aizzare ulteriormente all'odio.













































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