L'Editoriale della domenica. Finanziaria, il solito gioco di prestigio per favorire i ricchi
- Anna Paschero
- 9 nov
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Aggiornamento: 9 nov
di Anna Paschero

Il ministro Giancarlo Giorgetti dell'Economia e finanze ha definito stonate le critiche alla sua terza manovra di bilancio. Le critiche si sono sostanziate durante le audizioni in Parlamento da parte di importanti istituzioni, dalla Corte dei Conti all’Ufficio Parlamentare di Bilancio e all’ISTAT . "So cosa devo fare. Chi fa filosofia critica, io sto sul campo e agisco. Dalla CGIL me lo posso aspettare, da altri no", ha dichiarato il ministro, con un evidente moto di fastidio verso le osservazioni ricevute dai suoi autorevoli interlocutori unito a un altrettanto moto di supponenza, tipico di chi non sopporta il contraddittorio.
I punti in questione sono in sostanza tre: la riduzione della seconda aliquota IRPEF dal 35 al 33 per cento, la quinta rottamazione di cartelle esattoriali emesse dal 2020 al 2023, che, promette il ministro, sarà l’ultima della serie, e l’aumento dell’aliquota della cedolare secca sugli affitti brevi.
Ma vediamo in particolare, il primo punto, il più dibattuto, ovvero quello che riguarda la manovra sull’IRPEF. L’attuale sistema di calcolo dell’imposta è organizzato in maniera progressiva: dopo 50 anni di aggiustamenti improvvidi alla grande riforma del ministro Bruno Visentini del 1974, su cui ancora oggi poggia il sistema fiscale italiano, è stato ridotto il numero delle aliquote e degli scaglioni dagli iniziali 32 agli attuali 3, per arrivare, secondo le intenzioni dell’attuale Governo ad applicare in futuro una sola aliquota. Le originarie aliquote erano previste da un minimo del 10 ad un massimo del 72 per cento. Le aliquote attuali sono previste dal 23 al 43 per cento. È del tutto evidente che le modifiche apportate negli anni hanno aumentato il prelievo sui redditi più bassi e lo hanno ridotto su quelli più elevati.
La misura prospettata nella legge di bilancio ricalca il solco di quanto già è avvenuto in passato, come è dimostrabile da un semplice calcolo matematico.
Il risparmio per i contribuenti, va da un minimo di 0 ad un massino di 440 euro annui, a seconda del reddito percepito: più il reddito cresce e si avvicina alla soglia dei 50mila euro, maggiore è il risparmio fiscale generato. Ovvero chi più guadagna, più risparmia. Ne consegue che ogni mille euro aggiuntivi ai 28.000 beneficia di una riduzione fiscale di 20 euro annui fino al massimo sopra indicato di 440. Per esempio: un reddito di 30mila euro annui risparmia 40 euro, uno di 40mila risparmia 240 euro, uno di 50mila ne risparmia 440. Ma, attenzione: il disegno di legge prevede che il beneficio si azzeri al di sopra della soglia massima di reddito di 200mila euro, ma nel solo caso in cui il contribuente fruisca di detrazioni d’imposta dalle quali esso verrebbe detratto. Nel caso di assenza di tali detrazioni lo sconto fiscale resta comunque fruito, a prescindere dal reddito percepito. Il costo dell’operazione per le casse dello Stato è stimato in circa 3 miliardi di euro all’anno per i prossimi tre anni.
È del tutto evidente, perché la matematica non è un’opinione, che la misura avvantaggia, ancora una volta, i redditi più elevati e che i principi di progressività e di capacità contributiva, sanciti dall’art. 53 della nostra Costituzione, risultano ancora una volta mortificati.
Come ha evidenziato Rocco Artifòni nel suo ultimo articolo [1] l’ISTAT, la Corte dei Conti e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, oltre ai partiti di opposizione parlamentare, hanno dimostrato, calcoli alla mano come si verrebbe a distribuire il beneficio fiscale, stabilendo che oltre l’85 per cento dei risparmi fiscali finirebbe ai due quinti "più ricchi" della popolazione, mentre i redditi medio-bassi ne resterebbero esclusi o fruirebbero di benefici molto più limitati.
Non solo, i "più ricchi". Le fasce di reddito più basse, infatti, interessate dai provvedimenti adottati negli ultimi anni con il taglio del cuneo fiscale, hanno visto erodere il loro potere d’acquisto dall'inflazione, quanto dal drenaggio fiscale (fiscal drag). Ora, quest'ultimo fattore, che di fatto ha azzerato i vantaggi economici conseguiti da quelle fasce, hanno però apportato alle finanze dello Stato, secondo gli studi pubblicati da alcuni economisti, circa 25 miliardi di euro - cifra superiore all'attuale manovra finanziaria - di maggiori entrate IRPEF. Notizia dell'ultima ora: nel 2022, l'evasione fiscale è stimata attorno ai 100 miliardi di euro. Ma di tutto ciò, il ministro Giancarlo Giorgetti, non parla.
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