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Il mese della Resistenza: nel ricordo del partigiano Cottino

di Piera Egidi Bouchard



Da alcune settimane è in libreria il libro, edizioni Gruppo Abele, "Allarmi son fascisti!" di Gastone Cottino. Partigiano con il nome di battaglia Lucio, docente universitario, morto a Torino lo scorso 4 gennaio all'età di 98 anni, negli ultimi anni della sua vita Cottino ebbe chiara la percezione del concreto e incombente pericolo di un ritorno del fascismo e della insufficienza delle risposte della società e delle forze democratiche. Molti gli errori e le sottovalutazioni dell'antifascismo all’indomani della Liberazione, è uno dei suoi lasciti intellettuali. Tra questi il mancato radicale rinnovamento del Paese in tutti i suoi gangli, dall'istruzione alla politica, dalla giustizia alle forze dell'ordine; e poi la colpevole posizione di numerosi intellettuali che, sottolinea, mancarono di autocritica preferendo la grande rimozione delle atrocità del ventennio e del colonialismo, al concreto e profondo rinnovamento culturale del Paese. Oggi le parole di Gastone Cottino sono un appello rivolto anzitutto alle giovani generazioni.

Un anno fa, Piera Egidi Bouchard ha raccolto la preziosa testimonianza-intervista che presentiamo.


Novantasette lucidissimi anni appena compiuti, il professor Gastone Cottino, torinese, già docente tra i più noti di Diritto Commerciale e preside della Facoltà di Giurisprudenza: è del 1925. L’ho sentito intervenire più volte in dibattiti pubblici, recentemente per la conclusione dei tre anni di convegni dedicati all’amica e giurista Bianca Guidetti Serra: e sempre parlando a braccio, con precisione di ricordi ed empatia, senza neanche un appunto scritto.

Vado a trovarlo nella sua casa torinese, amichevolmente accolta dalla compagna, Silvia Belforte dalle radici battiste. La sua formazione avviene gradualmente: il padre, avvocato, era stato irredentista, durante la I guerra mondiale destinato alla magistratura militare, poi nella commissione giuridica per l’armistizio con l’Austria e, militante liberale nel dopoguerra, si era indotto a prendere nel ’31 la tessera fascista, necessaria, a suo avviso, a far sopravvivere un’associazione solidaristica, la ”Pietro Micca” di cui era presidente. Ma “in casa non si respirava un’aria fascista – ricorda - pur in un conformismo di fondo, e nel ’38, con le leggi antiebraiche ci fu per tutti noi un deciso giro di boa. Ancora ricordo che un mio compagno di liceo, Guido Treves, ebreo, scomparve da un giorno all’altro, come ingoiato in una buca... Noi giovani, del resto, sapevamo poco o niente di politica. Un giorno. Era il ’40, un professore in classe fa l’appello: ‘Gobetti Paolo: figlio di?... E io pensavo: ”Chi mai sarà questo padre?”: ero ignorantissimo... Nulla rompeva quella grigia opacità.

“Poi scoppiò la guerra e con mio padre andavamo a sentire Radio Londra da un idraulico antifascista, arrivavamo furtivi...Il 25 luglio ‘43 fece esplodere un senso di liberazione, e dopo l’8 settembre - avevo 18 anni- ero sfollato in campagna a Borgo San Dalmazzo, e assistetti allo sfascio della IV Armata, maree di soldati sbandati con i comandanti in auto che scappavano prima di loro, e al passaggio degli ebrei, in fuga dalla Francia, un gregge smarrito: alcuni furono salvati da don Viale, il “prete giusto” di Nuto Revelli. Eravamo a pochi chilometri da Boves, e vedemmo il terribile incendio. Mio padre mi fece rientrare a Torino, e il suo studio divenne punto di riferimento dei suoi colleghi liberali antifascisti, e io facevo da segretario delle riunioni clandestine. Successivamente lui fu uno degli organizzatori delle Sap cittadine; intanto, io non mi ero presentato ai due successivi  bandi di arruolamento Graziani, e rischiavo la pena di morte: quella fu ‘la scelta’ che mi portò a partecipare attivamente alla Resistenza.

“Il mio professore di diritto commerciale era Paolo Greco, presidente del CLN piemontese, che mi disse: “Si è costituito il ‘Fronte della gioventù’ (fondato da Giancarlo Pajetta, con il programma ideale stilato da Eugenio Curiel), vai a rappresentare i giovani liberali nel comitato regionale”. Lì cominciò per me una vita diversa: formai il gruppo dei giovani liberali, con cui demmo vita a intensa attività politica e militare, fondammo una rivista ‘Gioventù liberale’ (difficile trovare un tipografo disposto a rischiare per stamparla!) e incontrai personaggi significativi come Carlo Casalegno, Paolo Boringhieri, Franco Antonicelli. Intanto si infittiva il controllo poliziesco.

Così inizia il periodo dei documenti falsi e di nuove identità; col nome di battaglia ‘ Lucio’ feci parte della brigata Sap “Mingione”: sfuggii a una cattura, per cui venni denunciato per congiura al Tribunale speciale, con l’aggravante del reato di finanziatore del gruppo, ma io non avevo un soldo... Trovai rifugio e nuova base di attività in un luogo impensabile, in Prefettura (cioè nella sede del Governo di Salò) nell’alloggio dei custodi, che con grave rischio mi protessero, presentandomi come un loro nipote.”

L’episodio più importante – per cui Cottino ricevette per i 70 anni della Liberazione il Sigillo della Città di Torino - fu l’occupazione il 26 aprile del Municipio di Torino (c’è una foto storica dal balcone, tra le bandiere con il padre, e il giovane Gastone, che aveva procurato le armi nascoste nella cantina di Edgardo Sogno, trasportandole attraverso le vie della città su un carretto, malamente avvolte in una coperta): ”con l’incoscienza dei vent’anni”- commenta.

Da subito antimonarchico, ricorda con rammarico di non aver potuto votare per la repubblica al referendum del ’46: “Ero troppo giovane” - sorride. Ma come tanti suoi coetanei nelle situazioni più diverse aveva comunque impegnato bene la sua giovinezza.


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