"I referendum restano un forte richiamo ai valori democratici"
- Primo Greganti
- 13 giu
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di Primo Greganti

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con la verve che la contraddistingue, quando declina problemi seri a freddure di alta conio mediatico, ha bacchettato i promotori del referendum per l'onestà con la quale hanno ammesso che temevano di non arrivare al quorum. Fulminante la sua entrata in tackle: “C’è stata addirittura chi ha detto che loro sapevano benissimo che non sarebbe mai stato raggiunto il quorum e quindi non è una sconfitta. Però se sapevate che non avreste mai raggiunto il quorum, perché ci avete fatto spendere 400 milioni di euro per organizzarlo?”. Il che equivale a sostenere che le uniche battaglie giuste siano soltanto quelle vincenti e che, per effetto transitivo, se perdi una volta è bene non ripresentarti più (dubitiamo però che una simile tesi l'abbia espressa al presidente Trump) o che la democrazia (perseguita dalle opposizioni, ovviamente) deve sempre essere rigorosamente a costo zero, anche se è garantita da un preciso articolo della Costituzione. Appare evidente che un ragionamento che superi l'ironia, che travalichi la polemica spicciola per inseguire la ricerca di un confronto politico, è un lusso per Palazzo Chigi.
Ancora. Alla Presidente del Consiglio, eletta con un'affluenza del 64 per cento, di cui la coalizione di centro destra ha raccolto il 44 per cento, pari a 12 milioni di voti (un elettore su quattro), i 15 milioni di schede ritirate e infilate nell'urna, a differenza dell'ostentato comportamento da parte sua di ritirare la scheda ma non votare, sono apparsi uno spreco per il Paese, anziché la testimonianza del valore che gli italiani assegnano all'istituto referendario, con tutte le implicazioni inevitabili sul piano economico.
Certo, come è stato osservato da più vertici di osservazione e a più riprese anche sul sito della Porta di Vetro, non è stato raggiunto il quorum del 50% previsto dalla legge e dunque, è una sconfitta per chi ha promosso i referendum. Tuttavia sarebbe ingeneroso non contestualizzare il quorum richiesto nei tempi e nello spazio politico attuale e riconoscere ai referendum di domenica scorsa, pur con tutti i loro limiti, un richiamo vigoroso a valori contro cui si è schierato il centro destra non con un invito ad esprimere un'opinione contraria, ma a disertare le urne, cioè a svuotare la democrazia sic e simpliciter. Perché di questo si tratta, al di là dei funambolismi con cui chi guida il Paese ha giustificato l'astensionismo.
Non è un caso, che tra le polemiche più gettonate della Presidente del Consiglio vi sia stata quella di ridicolizzare la reazione della sinistra: "se vince le elezioni di qualunque genere allora è un trionfo della democrazia, mentre se le perde allora c’è un problema di democrazia. E addirittura si mettono in discussione le regole della democrazia". Aspetto che, quelle delle regole democratiche, a giudicare dai criteri con cui il governo impone le leggi a colpi di decreti, non è proprio un argomento peregrino, come tra l'altro sottolineato su questo sito da Rocco Artifoni.
Ultimo, ma non meno importante per evitare ogni forma di equivoco, una parola sulla difficoltà di raggiungere il quorum che non ha, né avuto, alcun rapporto di parentela con i contenuti di quesiti referendari, fondati tutti sulla convinzione di proporre soluzioni a favore dei più deboli a cui leggi pur votate dal centro sinistra nel passato non hanno offerto le garanzie e i risultati che ci si prefigurava. Chiedere di abolire quelle leggi non è stato un gesto di incoerenza, piuttosto un gesto di coerenza per chi professa idee di sinistra, per chi crede nell'egualitarismo, nei principi di solidarietà concreti e non da "salotto", quest'ultima classica e poco originale svalutazione verso i promotori dei cinque quesiti depositata all'informazione da Giorgia Meloni.
Sicurezza sul lavoro, salari adeguati al costo della vita, sanità, pensioni, occupazione giovani e donne, in una società che guarda il futuro non sono argomenti da salotto, ma obiettivi da perseguire sempre, indipendentemente da valutazioni correlate al grado di consenso del momento.
Non è una lotta facile. Ed è una consapevolezza che ci deriva da un mondo che in un crescendo di guerre regionali, che nei fatti tali non sono, cammina all'indietro e vede crescere nell'indifferenza irrazionalità, arroganza, odio, incontrollabili appetiti di potere e accumulo smisurato di ricchezze, offese all'ambiente. Tuttavia, proprio per questa ragione, la costruzione di un futuro di vita passa da battaglie politiche che rimettano sui giusti binari la redistribuzione della ricchezza, la tutela del welfare da cui discende la difesa del ruolo del Parlamento, dell'autonomia della giustizia, dell'istruzione e della sanità pubblica, puntelli democratici per contrastare guerre, fame ed emigrazioni bibliche.
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