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Guerre e riarmo, Leonardo vola

di Gianni Alioti


Lo storico inglese Adam Tooze, professore alla Columbia University e direttore dell’European Institute, ha scritto, commentando i dati del Financial Times sull’aumento del portafoglio ordini delle aziende del settore e della loro crescita in Borsa, ”Good times for the merchants of death“. E in effetti gli ordinativi di armamenti, munizioni e nuovi sistemi ad uso militare sono ai massimi storici.


Il boom in Borsa

In Italia il principale beneficiario delle guerre in corso e delle politiche di riarmo è il gruppo Leonardo, che ha chiuso il 2023 con ricavi di 15,3 miliardi di euro, in rialzo del 3,9% rispetto al 2022. I nuovi ordini sono stati di 17,9 miliardi di euro (+3,8%), portando il portafoglio ordini a quota 39,5 miliardi. Il 2022 si era chiuso con un utile netto ordinario di 697 milioni (+18,7% rispetto al 2021) e con un utile netto di 932 milioni di euro (+58,5%).

Ma più dei risultati industriali è la dimensione finanziaria di Leonardo che ha preso il volo, con il gonfiarsi delle quotazioni di Borsa. Fatto 100 il valore azionario al 15 settembre 2021, al 15 dicembre 2023 (27 mesi dopo) per Leonardo è cresciuto del 210%. Un andamento superiore a quelli registrati da BAE Systems (193%), da Thales (180%), Lockheed Martin (132%). “Bei tempi per gli azionisti e i manager dell’industria militare”, appunto.


Logo aziendale

Il principale azionista di Leonardo è il Ministero dell’Economia e Finanze (30,2%), che detiene una "golden share" data l'importanza strategica della società, ma un ruolo sempre più decisivo nella sua gestione lo giocano i Fondi istituzionali, che per il 53% sono nord-americani e inglesi. Tra questi investitori istituzionali più figurano diversi colossi americani della finanza: Dimensional Fund Advisors LP, The Vanguard Group, Norges Bank Investment, T. Rowe Price International Ltd Management, Goldman Sachs Asset Management, BlackRock Fund Advisors, Goldman Sachs Asset Management International e DNCA Finance SA. 

Leonardo (ex Finmeccanica) figura nel 2022 al 13° nella classifica SIPRI delle prime 100 aziende per fatturato militare (12,5 miliardi di dollari). Una parte importante dei ricavi è realizzata all’estero: in Usa, Regno Unito, Polonia e Israele. Leonardo a livello globale aveva 51.391 occupati (2022) distribuiti il 63% in Italia, il 15% nel Regno Unito, il 14% negli Usa, lo 0,5% in Israele e il 2,5% nel resto del mondo.


Una multinazionale militare

In Italia Leonardo controlla oltre il 70% delle produzioni militari e la sua posizione dominante nel settore è assicurata dalla sua presenza azionaria e nei CdA di Thales Alenia Space, Avio Space, MBDA e ELT) e dalle joint-venture con Fincantieri e Iveco DV (Orizzonte Sistemi Navali e Iveco-Oto Melara). In pratica sei aziende delle prime dieci in Italia per fatturato militare e per valore delle autorizzazioni all’export[1].

Le esportazioni, in massima parte verso paesi autocratici classificati come non liberi da Freedom House, rappresentano la quota più importante dei ricavi di Leonardo (circa il 75%). La componente militare rappresenta ormai l'83% del fatturato dell’azienda. Tale strategia ha avuto effetti fortemente negativi sull’occupazione. La Figura 1 mostra che negli ultimi 15 anni il gruppo Leonardo ha registrato un calo del numero totale degli occupati in Italia del 24% e una perdita secca del 17% di posti di lavoro nel comparto aeronautico.

 

Sul totale degli occupati, nel periodo considerato, hanno inciso soprattutto le dismissioni dall’ex-Finmeccanica di Ansaldo Energia e del comparto dei trasporti metro-ferroviari ceduto ai giapponesi di Hitachi, non compensate dalle nuove acquisizioni[2]. Mentre nel settore aeronautico, il cui perimetro societario è rimasto invariato, si sono persi oltre duemila posti di lavoro. Ciò si è verificato nonostante Leonardo stia partecipando alla produzione dei nuovi caccia F35, un programma che era stato approvato da Camera e Senato con illusorie promesse del Governo e dell’Aeronautica Militare Italiana di creazione di nuovi 10 mila posti di lavoro. In realtà si tratta di acquisizioni dagli Stati Uniti con limitati effetti sulle produzioni italiane.

Nel complesso, Leonardo si presenta, quindi, come una multinazionale militare (con il controllo dello Stato italiano), subordinata in molti campi alle strategie tecnologiche e produttive delle grandi imprese Usa. Da tempo si è allontanata dai progetti di co-produzioni europee e ha largamente abbandonato le possibilità di sviluppare produzioni civili, operando su logiche prevalentemente finanziarie. Un esempio di strategia d’impresa che punta a guadagni di breve periodo per gli azionisti, anziché allo sviluppo di tecnologie e mercati diversificati nell’interesse pubblico.


Note

[1] Nel 2022 le prime 5 aziende per valore complessivo di autorizzazioni all’export sono state: Leonardo con 1.802,3 milioni di euro, Iveco Defence Vehicles con 593,3 milioni, MBDA Italia con 304,8 milioni, Elettronica con 167,1 milioni e Avio Aero (GE Aerospace) con 140,2 milioni.

[2] Leonardo (ex-Finmeccanica), nel periodo considerato, ha effettuato le seguenti acquisizioni e dismissioni, modificando in Italia il perimetro industriale e l’occupazione del Gruppo. Acquisizioni: Datamat (2007), Sistemi Dinamici (2016), Vitrociset (2018), Alea (2021). Dismissioni: Ansaldo Energia (2013), Ansaldo Breda, Ansaldo Sts, Breda Menarini bus (2014), Electron Italia (2017).

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