Gianluca, il ragazzo di Cremona diventato uomo all'ombra della Lanterna
di Luca Rolandi
Morire a 58 anni per una malattia inesorabile dopo aver combattuto come un leone non è da tutti, ma Gianluca Vialli da Cremona non è stato il solo a farlo. E’ stato però la sua battaglia una lotta pubblica, coraggiosa, piena di significati e valori che all’apparenza del mondo dello sport faticherebbe a riscontrare. E’ stata una lotta umanissima e profondissima, sempre alla luce del sole, mai nascosta e soprattutto di una dignità che ha fatto oggi commuovere tutti, sportivi e non, calciofili o antisportivi.
Gianluca Vialli non è stato un campionissimo alla Pelè, alla Maradona o alla Crujiff. E non aveva storie primigenie da raccontare. Le sue origini sono quelle di ragazzo fortunato, di famiglia benestante, che attraverso il calcio ha potuto viaggiare, conoscere, relazionarsi con un mondo dorato, ma sempre con l’umiltà di chi ha compreso di essere un privilegiato. Dalla ricca bassa, dove fu scoperto e valorizzato dal patron Luzzara e dal giovane e compianto Emiliano Mondonico, Gianluca Vialli è diventato da ragazzo a uomo nella città di Colombo, in riviera davanti al mare, a Genova, città della Lanterna, sponda blucerchiata.
Nel luogo magico dei caruggi e delle rivalità antiche e profonde anche calcistiche tra i genoani e i sampdoriani, rossoblù e blucerchiati, ha rappresentato l’ultimo grande sogno di un calcio romantico quello del Doria del presidente-petroliere Paolo Mantovani (in primo piano nella foto), del vulcanico allenatore Boskov, della squadra di professionisti e campioni ma soprattutto amici, uno su tutti, lo jesino e poi bolognese Roberto Mancini, e poi Pari, Pagliuca, il brasiliano Cerezo, Dossena, Lanna, Mannini,
Su quella Samp campione d’Italia nel 1991, nell’anno più grande del football genovese con il Genoa di Bagnoli, quarto dopo quasi novant’anni dall’ultimo scudetto, della Coppa delle Coppe del 1989 e della finale stregata di Wembley con il Barcellona del 1992. Un quinquennio di assoluto valore di una squadra e un popolo quello doriano che aveva sempre sofferto le vittorie del Genoa e la sua leggenda e remato come il pescatore che sta nel suo simbolo con buoni piazzamenti, belle figure e una tifoseria appassionata e coriacea consapevole di una fede calcistica figlia di un dio minore.
Eppure i cabibbi, portuali giovani, i camalli e gli operai di Cornigliano, i mentori della Sampierdarenese e dell’Andrea Doria, i tanti meridionali delle delegazioni erano orgogliosamente sampdoriani per contrasto alla nobiltà genoana, uniti ai tifosi della collina di Albaro e della riviera di Levante che sull'altura di Bogliasco, prima comune a est di Genova, iniziavano ad ammirare una squadra che avrebbe fatto epoca, fino a diventare libri, documentari ultimamente film. Vialli era diventato genovese e doriano e anche i genoani lo rispettavano per il suo modo di essere e di fare sempre pacato ma in campo capace di essere il primo e l’ultimo a lasciare il terreno fino all’ultima goccia di sudore.
La favola Samp si sarebbe spezzata con la morte di Mantovani nel 1993. Nella chiesa di Santa Teresina, gremita all’interno e all’esterno nel ricco quartiere di Albaro, c’erano i suoi ragazzi, Vialli arrivò con le stampelle, era già salito a Torino, non da traditore, ma per una nuova affascinante sfida. Le lacrime di allora saranno quelle trent’anni dopo quelle di oggi. Quelle di un gruppo di amici che sarebbe diventato una grande squadra in una Genova in mutazione e ancora più romantica e bella di quello che allora ai nostri occhi era apparsa nel quotidiano vivere ai piedi della Lanterna.
Poi arrivò Giampiero Boniperti,[1] l'incarnazione metafisica e non solo del potere calcistico della Famiglia juventina, che portò Vialli a Torino: Vialli, Stradivialli secondo Gianni Brera, già emblema e trascinatore di una nazionale prima Under21 (vicecampione d'Europa nel 1986) e poi maggiore che guidò con Azeglio Vicini a sfiorare traguardi prestigiosi, poi la Champions League stregata per la Vecchia Signora, alzata dal ragazzo di Cremona e poi tanta Inghilterra, terra di elezione e maturazione famigliare, umana e sportiva fino all’ultimo grande abbraccio con l’amico Roberto, dopo tanto volontariato, sostegno alla ricerca per battere la Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) con l’amico Massimo Mauro.
Sì proprio Mancini, insieme alla famiglia Vialli, è la persona che forse sta soffrendo di più. La gioventù era il loro volto, quello intenso e luminoso che oggi accompagna nel suo viaggio eterno Gianluca Vialli.
Note
[1] https://www.laportadivetro.com/post/la-juve-e-torino-nella-vita-di-gianluca-vialli
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