Enrico Berlinguer e l’egemonia nel movimento operaio
di Adriano Serafino
In questi giorni molti hanno ricordato il quarantennale dalla drammatica morte di Enrico Berlinguer, l’ultimo grande leader comunista impegnato in una continua azione di rinnovamento e innovazione senza disperdere i valori fondanti del suo partito. E’ stato un grande leader che sapeva comunicare e trasmettere il suo pensiero, innescando empatia non solo nei settori popolari e non solo nelle file dei comunisti. L’imponente partecipazione popolare al saluto d’addio a Roma, il 13 giugno del 1984 è stata la rappresentazione plastica di quel legame, di quell’empatia.[1]
Walter Veltroni nell’articolo “Berlinguer parlava al futuro”, sul Corriere della Sera del 9 giugno scorso, descrive queste caratteristiche affermando "[...] Per quel Pci votarono, si iscrissero, assunsero responsabilità persone che non erano legate ideologicamente alla dottrina leninista, che non credevano alla dittatura del proletariato… D’altra parte già con Gramsci e con il Togliatti del patto costituzionale quell’originalità era stata definita. Con Berlinguer un partito come il Pci difendeva gli ultimi ed era ancorato ai valori della democrazia. Per questo un italiano su tre lo votò".
Piera Egidi Bouchard ha scritto, su questo sito,[2] un articolo sulla visione politico-religiosa e sulla laicità dello stato di Enrico Berlinguer, citando le tante inedite iniziative di dialogo con esponenti religiosi e ecclesiastici che hanno contribuito a fare crollare quelle remore di molti credenti per un voto a sinistra. E’ stata questa una caratteristica dell’azione di Berlinguer per tutti gli anni in cui ha guidato il partito (1972-1984) e non sempre viene ricordata con il dovuto rilievo.
Ancora, altri hanno ricordato le sue proposte culturali e politiche per costruire un nuovo modello di sviluppo, il superamento delle diseguaglianze e un diverso equilibrio tra Nord e Sud del mondo. Ha manifestato severe critiche al consumismo, a un modello produttivo iniquo, proponendo un diverso rapporto tra economia e qualità della vita, una proposta lungimirante, oggi di grande attualità.
Sono state ricordate le grandi eredità che Berlinguer ha lasciato nei 12 anni alla guida del PCI, senza che si tralasci il periodo in cui è stato vicesegretario (1969-1972), durante gli anni di Luigi Longo, tra queste il suo coraggioso protagonismo per il progressivo distacco del Pci dal “socialismo reale", fino alla dichiarazione “che la rivoluzione d’Ottobre ha esaurito la sua forza propulsiva” fatta a Mosca nel corso del Congresso del Partito Comunista Sovietico (Pcus), e poi la sua pubblica scelta di campo (tra Occidente e paesi del “socialismo reale”) di “sentirsi più sicuro” per costruire una via al socialismo sotto l’ombrello della Nato (allora, in parte, ben diversa dall’oggi), anziché nell’area dell’allora Patto di Varsavia.[3] Quell’intervista rilasciata a Giampaolo Pansa, pubblicata sul Corriere della Sera a metà degli anni ’70, accese fondate speranze per pensare ad una società fondata sui valori del personalismo comunitario e sulla solidarietà, un socialismo garante delle fondamentali libertà di pensiero e di stampa per inverare in ogni parte del paese quanto afferma l’art.21 della Costituzione.
Elly Schlein è ritornata a Padova, durante la campagna elettorale, nel giorno dell’anniversario dei quarant’anni, nella piazza dove Berlinguer fu colto dal malore mortale, indicando di seguire lo spirito e gli ideali di quel prestigioso dirigente comunista, amato dai suoi e rispettato dagli avversari per la grande coerenza di fare seguire ai principi affermati altrettanti coerenti comportamenti sia nella vita politica, sia privata.
La segretaria del PD ha inoltre espresso la sua convinzione che “[...] Berlinguer ha fatto ponte tra le generazioni..”. I fatti degli anni '70, però, certificano una realtà alquanto diversa: tanti giovani contestatori di quella società, si sono ribellati - con convinzione o per incomprensione - verso alcune proposte strategiche di Berlinguer, tra queste certamente il “compromesso storico”, calato dall’alto con tre interviste su Rinascita, la rivista del partito nel 1973, dopo i fatti cileni e il golpe militare di Pinochet.
Enrico Berlinguer, la cui figura non va idealizzata proprio per l'attenzione che si deve a uno dei protagonisti del Novecento, con i suoi scritti e il suo modo di essere ha contribuito - a mio avviso - a ridurre le contrapposizioni ideali che nella storia hanno diviso il mondo del socialismo, tra queste quella mai risolta: se la coscienza personale debba o no rimettersi alla guida o all’autorità di un soggetto collettivo oppure si debba garantire sempre la libertà morale e intellettuale contro le idee prevalenti, una garanzia per costruire un partito, una società, uno stato con cittadini liberi. Per arrivare all’idea del socialismo come trasformazione sociale sorretta da una riforma intellettuale e morale capace di realizzare l’elevamento civile delle classi subalterne.
Infatti, c’è un campo specifico dove Berlinguer, anziché innovatore, e stato un conservatore dell’ortodossia comunista, rivendicando al PCI la rappresentanza del movimento operaio, negando ad altri il riconoscimento di essere quota parte di questa complessa realtà in continua trasformazione. Sia verso “anime” presenti in questo o quel partito, sia verso espressioni movimentistiche. La rappresentanza del movimento operaio è rimasta un’esclusiva del partito comunista per esercitare un’egemonia nella società. Penso che ciò abbia contribuito in modo significativo a perdere alcuni importanti appuntamenti con la storia del nostro paese, dal compromesso storico all’unità sindacale.
Berlinguer è stato eletto segretario del PCI nel 1972 quando era ancora ben forte la spinta propulsiva della rivolta studentesca e delle grandi lotte sindacali contrattuali del '68-'70. Ho vissuto quel contesto con l’obiettivo dell’unità sindacale ricostruita dal basso, con il protagonismo dei lavoratori e dei delegati. Allora svolgevo l’incarico di segretario generale della Fim-Cisl e della Flm Torinese e ben ricordo l’inatteso stop di Berlinguer richiesto alla componente comunista della Fiom (a Bruno Trentin) e della Cgil al processo di unità organica tra la Fiom, Fim e Uilm, per un sindacato unitario e pluralista. Oggi, come allora, considero quell’intervento di Berlinguer un grave errore e i risultati negati sono ben visibili nelle vicende di questi tempi.
La visione di Berlinguer è stata ancorata alla tradizione comunista confermando il primato del partito (e quindi il ruolo vicario del sindacato) per quanto riguarda le scelte economiche e sociali d’impatto generale per il paese. Il protagonismo e l’autonomia del sindacato come “soggetto politico” - un ruolo che può essere tale solo se esercitato unitariamente in modo da esprimere una rappresentanza realmente unitaria di milioni di cittadini-lavoratori e pensionati ben superiore a quella di un partito - come era originariamente nella visione Carniti-Tarantelli (di certo non avevano in testa il superamento della scala mobile!) e di gran parte della FLM di allora, era un po’ “fumo negli occhi” per il Pci di Berlinguer.
La caparbietà di Berlinguer e di Pierre Carniti di tenere il punto sulle rispettive convinzioni e la loro scarsa volontà di ricercare un onorevole compromesso, hanno determinato quel gravissimo corto circuito (decreto Craxi nel 1984 e referendum PCI abrogativo nel 1985) che ha cambiato il corso della politica italiana e interrotto la strada per l’unità sindacale. Del resto, il 1984 rimane uno degli anni chiave per la politica italiana e per capirne i successivi risvolti dopo la morte di Berlinguer. Una morte e un'eredità incompiuta per i suoi successori, che lasciarono in sospeso più cose: dallo scontro sulla scala mobile ai rapporti tra Pci e Psi, e quindi alla stessa evoluzione del Partito comunista italiano nel quadro della geopolitica internazionale.
Con il taglio sulla scala mobile del 14 febbraio 1984, passato alla storia come "l'accordo di San Valentino", che provocò la sofferta rottura tra Cisl e Uil da una parte, e Cgil dall'altra, e il distacco tra Carniti e Luciano Lama, e di lì l'avvio della raccolta firme per il referendum istituzionale, si determinò anche un altro cortocircuito, forse all'epoca sottovalutato: consegnare al voto del corpo elettorale questioni che riguardano i lavoratori dipendenti rimane sempre una strada impervia, quando non è un azzardo, in quanto i lavoratori dipendenti rappresentano una minoranza di quel corpo elettorale. Una riflessione che valeva quarant’anni fa come vale ancora oggi. Anche questa vicenda fa parte della grande eredità di pensiero e di azione, lasciataci dal grande leader comunista scomparso quarant’anni fa.
Note
[1] https://www.laportadivetro.com/post/indimenticabile-enrico-ritratto-di-un-grande-leader-politico
[3] Quell'intervista fu e continua ad essere elemento di ambiguità nella ricostruzione biografica di Enrico Berlinguer, cui non erano certi ignoti le coperture offerte nel passato dalla Nato a regimi dittatoriali, da egli più volte denunciate, come Grecia, Portogallo e Spagna. Ecco i passaggi di quell'intervista:
[...]Io penso che, non appartenendo l’Italia al Patto di Varsavia, da questo punto di vista c’è l’assoluta certezza che possiamo procedere lungo la via italiana al socialismo senza alcun condizionamento. Ma questo non vuol dire che nel blocco occidentale non esistano problemi: tanto è vero che noi ci vediamo costretti a rivendicare all’interno del Patto Atlantico, patto che pur non mettiamo in discussione, il diritto dell’Italia di decidere in modo autonomo del proprio destino.
Insomma, il Patto Atlantico può essere anche uno scudo utile per costruire il socialismo nella libertà…Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico «anche» per questo, e non solo perché la nostra uscita sconvolgerebbe l’equilibrio internazionale. Mi sento più sicuro stando di qua, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia.
Comunque, lei non crede che il socialismo nella libertà sia più realizzabile nel sistema occidentale che in quello orientale?Sì, certo, il sistema occidentale offre meno vincoli. Però stia attento. Di là, all’Est, forse, vorrebbero che noi costruissimo il socialismo come piace a loro. Ma di qua, all’Ovest, alcuni non vorrebbero neppure lasciarci cominciare a farlo, anche nella libertà, in Mi sento più sicuro nel Patto Atlantico - Enrico Berlinguer
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