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Eleanor Rigby, il dramma della povertà sulle note dei Beatles


di Marco Travaglini


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La si prende alla larga, anche se il titolo imporrebbe la più affascinante musica dei quattro ragazzi di Liverpool, ma si garantisce che tutto ha un senso compiuto. Cominciamo dal dramma della povertà che continua a colpire nella più totale indifferenza. Da un recente articolo apparso sul web, si apprende che quattro miliardi di persone, pari a circa il 50% della popolazione mondiale, non ha completa disponibilità di energia, con tutte le conseguenze immaginabili.

Nell'Occidente opulento, le cronache spesso, quando non sono fagocitate dai drammi dei conflitti, raccontano storie di miseria e di solitudine. Perdere il lavoro, la casa, gli affetti. E come in Italia, permane un identico o quasi lo squilibrio nella redistribuzione della ricchezza. C'è un dato oggettivo su cui riflettere: alla fine del 2024, il 5% della popolazione italiana deteneva il 48% della ricchezza nazionale complessiva, nel 2010 la percentuale era del 40%. Otto punti in percentuale nell'arco di 14 anni...

Se dovesse permanere questa progressione, a metà secolo, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi salirà ad oltre il 60 per cento. A questo scenario si accompagna un debito pubblico elevatissimo "contrastato" da una ancora elevata ricchezza delle famiglie. Ma quale destino si prospetta per quelle che non lo sono, cioè per quei 5,7 milioni di nostri concittadini che vivono in povertà assoluta, assistiti insieme con i migranti dalle associazioni di carità?


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Trovarsi soli, spaesati. Diventando, non di rado, protagonisti di due scarne righe in cronaca perché la solitudine può uccidere e, spesso, uccide. Uno dei temi delle nostre società più preoccupanti è il crescere delle solitudini che sono  spesso figlie di ingiustizie e drammi sociali. Ecco che allora entrano in scena "loro" con Storie come quella di Eleanor Rigby, protagonista dell’omonima canzone dei Beatles, pubblicata nell’agosto del 1966 nell’album Revolver. Il testo scritto da Paul McCartney inizia con una richiesta: “Look at all the lonely people” (Guarda tutte le persone sole), dove la solitudine è intesa come una condizione esistenziale. Eleanor Rigby “vive in un sogno“, aspettando alla finestra che qualcuno arrivi a salvarla (e non verrà). Ed è solo anche padre McKenzie, il parroco che “scrive le parole di un sermone che nessuno ascolterà” nella stessa chiesa frequentata da Eleanor: rimangono soli pur essendo vicini, pur avendo bisogno dell’affetto reciproco.

L’epilogo è tragico: Eleanor Rigby muore in quella chiesa, e avrà un funerale “al quale nessuno verrà”. Le ultime parole della canzone sottolineano che “nessuno fu salvato“, aggiungendo una nota decisamente pessimistica. Questa canzone, che chissà quanti di noi hanno ascoltato e fischiettato, ha un contenuto sociale preciso ed è tra le più impegnate dei quattro ragazzi di Liverpool. Quel nome – Eleanor Rigby –  non è frutto della fantasia di McCartney: nel cimitero della chiesa di St. Peter, nella zona di Woolton (Liverpool), esiste la tomba della famiglia Rigby ed Eleanor (nata nel 1895 e morta nel 1939) lavorava come lavapiatti e donna delle pulizie nella cucina del City Hospital di Parkhill. Chissà se, da oggi in poi, la vita di questa donna che ispirò una delle più popolari canzoni dei Beatles, aiuterà a prestare ascolto al dramma della solitudine.

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