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"Dai commissari ex Ilva aspettiamo un cambio di passo"

Aggiornamento: 2 mag

di Rocco Palombella*


Lo si ripete da ieri, non appena è terminata la riunione con i commissari a Roma: non condividiamo le linee guida del piano industriale per la ex Ilva. Abbiamo detto e ripetuto che si ritiene doveroso avere nell'interesse dei lavoratori certezze e garanzie occupazionali. Fuori da questo quadro di riferimento, non c'è nulla che possa interessare le maestranze del gruppo, quasi 11mila dipendenti in Italia, di cui 8 mila a Taranto, per una produzione di 3 mln di tonnellate d'acciaio nel 2023. Del resto le linee guida che ci hanno presentato ieri a Roma i commissari straordinari di Acciaierie d’Italia non sono condivisibili né sul metodo, né sul merito, perché si fa solo la fotografia della situazione attuale, non dando le necessarie certezze per il futuro. E il presente, lo ricordo, è tratteggiato da 2.500 persone in cassa integrazione, il 90 per cento nel solo stabilimento di Taranto. Dai commissari ci aspettavamo più concretezza e un cambio di passo rispetto al passato.

Invece, a due mesi dall’avvio dell’amministrazione straordinaria non vediamo nessun miglioramento tangibile rispetto alla precedente gestione fallimentare. Si continua a navigare a vista, senza alcuna certezza e tutto questo è inaccettabile. Dal Governo e dai commissari non abbiamo ricevuto nessuna garanzia sui lavoratori dell’appalto e sui crediti pregressi delle aziende dell’indotto che stanno avendo delle difficoltà a riceverli. Per noi resta valido l’accordo del 2018, l’unico firmato dalle organizzazioni sindacali, che garantisce l’occupazione per tutti, compresi i 1.500 lavoratori in Ilva As”.

Peraltro, le linee guida del piano industriale, che verrà presentato all’Unione europea per chiedere il prestito ponte - 320 milioni di euro, da restituire la metà entro il 2028 e l’altra metà entro il 2029 - non ci soddisfano e non garantiscono una solida prospettiva produttiva e occupazionale. La ragione è oggettiva, tecnica: i tre altiforni sono prossimi alla chiusura per obsolescenza e non ci sono alternative adeguate, mentre i due forni elettrici prospettati, che entrerebbero in funzione non prima di tre anni, non potranno garantire una produzione sufficiente ad assicurare il futuro e la sostenibilità dell’ex Ilva.[1]

Solo il rifacimento dell’Afo 5, con le migliori tecnologie ecosostenibili e con una produzione annua di 4 milioni di tonnellate, offrirebbe una solida prospettiva industriale, produttiva e occupazionale. Ma il Governo Meloni obietta che l'operazione non è fattibile per l’eccessivo costo e per le attuali regole europee. All'opposto si preferisce spendere centinaia di milioni di euro per il rifacimento di altiforni che avranno vita breve.

Tuttavia Palazzo Chigi dà l'impressione di dimenticare che l'unico altoforno (il 4) è in funzione con una produzione ridotta (circa 4mila tonnellate al giorno) e la previsione della produzione annua di poco è stimata appena sopra un milione di tonnellate. In altri termini, la situazione finanziaria è drammatica e rivela la fragilità su cui si poggia il rilancio delle acciaierie, uno degli assi strategici dell'industria nazionale. Infatti, i 320 milioni sono la conditio sine qua non per realizzare gli interventi previsti dai commissari necessari nei tre siti, Taranto, Genova e Novi Ligure.[2] Ma si tratta di una prima quota-salvagente, cui si dovrebbero aggiungere a stretto giro di posta altri 600 milioni. Intanto, le banche sono al balcone, ad osservare i movimenti tra Roma e Bruxelles per lo sblocco del prestito ponte che, insieme ai 120-130 milioni di magazzino e di crediti in dote all’ex Ilva, rappresenta il piccolo nocciolo duro finanziario da cui provare a ripartire. Alternative finanziarie sono peraltro escluse, poiché i commissari hanno trovato in cassa appena qualche decina di milioni di euro. Insomma non c'è nulla di cui stare allegri.[3]


*Segretario generale Uilm-Uil


Note

[1] AFO 1 (attivo dal 2001, ha 23 anni di vita) fermo da agosto 2023 per manutenzione e mai ripartito, ha bisogno del rifacimento del crogiolo per una questione di sicurezza dell’impianto (tempi lunghi); AFO 2 (attivo dal 2007, ha 17 anni) fermo da dicembre 2023 per manutenzione e problemi tecnici.

[2] La situazione negli stabilimenti.

Taranto: occupati 8.200. Materie prime in risalita a maggio e prospettiva produttiva minima fino a fine maggio poi incertezza. Attualmente in marcia solamente 1 altoforno su 3 (AFO 4) con una produzione minima cui ha corrisposto la fermata della maggior parte degli impianti. Gli altri due altoforni (1 e 2) hanno bisogno di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza. "Se non facessimo questi interventi saremmo irresponsabili” ha dichiarato il Commissario Quaranta nell’ultimo incontro a Palazzo Chigi del 25 marzo 2024.

Genova: occupati 945. Unico stabilimento in Italia in grado di produrre su più impianti banda stagnata e banda

cromata elettrolitica (la latta), largamente utilizzate nell’industria alimentare e dell’imballaggio. Nelle ultime settimane piccola ripresa dell’attività e riduzione dei lavoratori in cassa integrazione: da 250 a circa 100. La settimana scorsa è ripartita la produzione della Latta e impianti per la ricottura, laminazione e banda stagnata

Il 22 aprile ripartita la linea di zincatura con conseguente ripartenza Decatreno. Ciclo produttivo limitato dalla bassa quantità di materiale che viene inviato da Taranto.

Novi Ligure: occupati 580. I coils prodotti in questo stabilimento sono utilizzati per realizzare fusti, componenti per elettrodomestici, tubi mobilio, apparecchiature igienicosanitarie smaltate, componenti di altissima qualità anche per il settore automotive. Nelle ultime settimane minima ripresa dell’attività che durerà fino a metà maggio, poi c’è incertezza sul futuro. Tornati momentaneamente quattro reparti, in particolare il treno per la consegna dei coils, il decatreno, il reparto di ricottura e altri impianti. Attualmente lavorano circa 300 dipendenti, mentre 150 in cassa integrazione a rotazione; altri in ferie obbligate e qualcuno segue corsi di formazione. A fine 2023 lo stabilimento ha lavorato poco più di 400mila tonnellate di acciaio provenienti da Taranto, mentre la potenzialità del sito piemontese è di 2 milioni di tonnellate. Precario il livello di manutenzione del manufatto nel quale si sono registrati più episodi di calcinacci caduti dal soffitto (fortunatamente senza feriti).

[3]Secondo indiscrezioni riportate dal Il Sole 24 ore il piano industriale “conta su un uso massiccio della cassa integrazione” e “ritiene di potere salire nel secondo semestre di quest’anno a un output di due milioni di tonnellate” e prevede un mix tra altoforno e forni elettrici. In particolare in una fase transitoria, nel 2025, pensa di potere arrivare a 5 milioni di tonnellate con due altoforni (Afo 1 e Afo 2) per poi salire – fra il 2026 e il 2027 – a sei milioni di tonnellate; allo spegnimento di Afo 1 e Afo 2, sarà l’altoforno 4 a provvedere alla produzione di due milioni di tonnellate, da unire all’opera di due forni elettrici che, insieme, realizzeranno altri quattro milioni di tonnellate. Negli ultimi giorni, oltre ai Gruppi Arvedi, Metinvest e Vulcan Green Steel, ci sarebbe stata una manifestazione di interesse da parte di Steel Mont, gruppo indiano che opera che soprattutto nel trading ma che ha anche una attività di produzione, con una capacità nel 2024 di quattro milioni di tonnellate di acciaio.


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