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Da contestatori a emulatori della violenza adulta: la parabola dei nostri giovani

di Emmanuela Banfo


Che fare quando una ragazzina è violentata da un branco, anch’esso composto da ragazzini? Il caso della 12enne violentata in Francia perché ebrea da un coetaneo e da altri due minorenni, di 13 e 14 anni, accende il riflettori non soltanto sulla drammaticità di un antisemitismo in crescita, ma sull’uso dello stupro sempre più diffuso come arma di potere, sopraffazione, rivincita, spregio. E non soltanto in scenari di guerra, come riferito anche dal Segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il 19 giugno scorso in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sessuale nei conflitti. E non soltanto da parte di uomini adulti su donne, maggiorenni o minorenni che siano. Questa volta la piaga che si apre di fronte a noi riguarda giovanissimi: dal caso crudele di domenica scorsa in un parco nel centro di Pescara, dove due quindicenni hanno ucciso con 25 coltellate il diciassettenne Christopher Thomas Luciani, per poi concludere la giornata al mare come se nulla fosse accaduto, all'episodio d'inizio giugno a Modena, protagonisti una 12enne vittima di due minori, uno dei quali filmava la scena e, a ritroso, il dramma della 13enne di Catania sopravvissuta nel febbraio scorso allo scempio che del suo corpo hanno fatto sette aguzzini, tutti di minore età o poco più.

Ogni volta i resoconti stupiscono e gridano allo scandalo. Stupiscono, ad esempio, quando il branco appartiene a famiglie "perbene" o quando i ragazzi stessi sono studenti esemplari. Ancora di più si grida allo scandalo quando provengono da paesi stranieri, magari immigrati con i barconi, il che costituirebbe un aggravante. Inutile far osservare che la stragrande maggioranza dei detenuti nelle carceri minorili ha commesso reati contro il patrimonio e non contro la persona.

La percezione della realtà non fotografa la realtà, ma lo status psicologico-emotivo di una società sempre più nel panico. Il 20/o Rapporto Antigone del febbraio scorso sui 17 Istituti Penali per i Minorenni in Italia ha registrato tre dati particolarmente significativi: l’aumento di reclusi minorenni (312 su 532), effetto del decreto Caivano, diventato legge nel novembre 2023 in seguito allo stupro di due ragazzine al Parco Verde di Caivano di Napoli; il 68,5% dei detenuti è in attesa di sentenza definitiva; il 37% nell’arco di un anno di violazioni della legge contro l’uso di stupefacenti.

Lo scandalo di una buona parte di opinione pubblica scatta, subito prima o subito dopo lo stupore, in assenza di quelle che sono chiamate condanne esemplari. Che in assenza di pene di morte o amputazioni corporali, per molte persone vuol dire carcere a vita o almeno dai vent’anni in su. Anche su questo fronte è inutile mostrare come nel nostro o in altri Paesi la risposta giudiziaria non sia l’unica e neppure la più efficace a contrastare la violenza. Tuttavia sarebbe deleterio essere rinunciatari e non tentare di correggere la deriva del non-pensiero che si accontenta di slogan, narrazioni stereotipate, luoghi comuni che non aiutano a capire e ad attrezzarci per affrontare le problematiche sociali nelle quali viviamo. In questa operazione di smascheramento occorre mettere in campo anche il coraggio di andare controcorrente, la disponibilità all’autocritica se occorre. Intanto sarebbe bene non medicalizzare i giovani.

L’adolescenza è da sempre fase inquieta della vita. Uno per tutti "Il giovane Holden" di Salinger, datato 1951, ma attualissimo con il suo tormentato sedicenne Holdel Caulfield. Oppure riguardare il film "Gioventù bruciata" con l’irrequieto e devastante Jim Stark ovvero James Dean. E’ il tempo dei dubbi, dei grandi interrogativi sulla vita, proprio quelli che sarebbe bene non dimenticare mai per non assuefarsi, per non omologarsi alla corrente. Certo ogni generazione ha le sue peculiarità, legate al momento storico, ma sarebbe bene non drammatizzare affermando quello stesso omo-centrismo narcisistico che, in fondo, è alla base della violenza e, in particolare, sulla donna. I giovani devono contestare, devono esplorare, devono distinguersi dai loro genitori.

Il problema, invece, oggi è che li emulano. Li riproducono. Anche quando scendono in piazza, per mille motivi che non è qui sede da indagare, ricalcano degli adulti gli stessi paradigmi: la violenza nelle relazioni, che con gradazioni diverse ma immutata sostanza, si evidenzia in ogni luogo; l’affermazione dell’ ego che ribalta la sua frustrazione in un comportamento aggressivo; la mancanza di visione, di prospettiva e di conseguenza la ricerca di una soddisfazione immediata dei bisogni primari, la difficoltà al ragionamento dialettico. E, poi, non ultimo, il re-mercato. Siamo tutti forsennati, onnivori consumatori. Si consumano notizie usa-e-getta, da "mangiare" con scandalo e stupore, appunto, per poi dimenticarsene un attimo dopo, si consumano sentimenti, si consumano corpi. Dei quali non c’è alcun rispetto, che siano i nostri o gli altrui corpi anziché vederli portatori di qualcos’altro chiamato anima, pensiero, coscienza, sogni e tutto ciò che è persona. Tutto viene appiattito sulla superficie. Forse, allora, il problema non sono i giovani, ma gli adulti e il mondo che abbiamo costruito. E forse ce ne sentiamo in colpa, in fondo, e da qui deriva l’atteggiamento giustificatorio e protettivo.

Altrettanto sbagliato quanto quello persecutorio e giustizialista. Natalia Ginzburg nel libro "Le piccole virtù" scriveva: “Per quanto riguarda l’educazione dei figli, penso che si debbano insegnare loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l’indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l’astuzia, ma la schiettezza e l’amore alla verità; non la diplomazia, ma l’amore al prossimo e l’abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e sapere”. E Primo Levi negli anni Settanta del secolo scorso, nella prefazione a un’edizione di "Se questo è un uomo" ricordava che "esistono quasi in ogni Paese carceri, istituti minorili, ospedali psichiatrici in cui, come ad Aushwitz, l’uomo perde il suo nome e il suo volto, la dignità e la speranza". Dignità e speranza che il mondo adulto ha la responsabilità di ridare alle ragazzine violate e anche ai loro coetanei che le hanno violate. Perché, a pensarci bene, son tutti figli nostri.

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