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Cognomi, Cristoforetti e altro...: vittorie sui nostri retaggi culturali

di Chiara Laura Riccardo

Una settimana all’insegna del superamento degli schemi: da una parte la notizia della sentenza sul doppio cognome, quello paterno e materno, da poter dare ai figli e dall’altra Samantha Cristoforetti, l'astronauta italiana in partenza per la sua seconda missione spaziale che lascia i due figli al marito per cinque mesi.


I media e i social italiani sono stati invasi da commenti e giudizi su tali fatti da parte di uomini e donne, dai più “rivoluzionari”, ai più “perbenisti”, caratterizzati alcuni anche dal quel sentimento d’indignazione tipico di un paese immobile.


Ma andiamo con ordine. Il 27 aprile 2022 la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che rende illegittimo mettere ad un figlio, in automatico, il cognome del padre. All’apparenza, questa, sembra una grande rivoluzione, ma in realtà è semplicemente la messa in linea del nostro Paese a quelle che sono, da anni, le leggi ispirate all’equità tra i generi presenti negli altri Paesi Europei. L’Italia, infatti, è ancora uno dei pochi paesi ad avere la regola del singolo cognome del padre.


Se allarghiamo lo sguardo all’Europa vediamo che, ad esempio, in Francia e in Belgio già da anni si assegnano entrambi i cognomi in ordine alfabetico. In Portogallo viene lasciata libertà ai genitori di decidere quali e quanti cognomi mettere. E ancora, in Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca e Austria il cognome della madre viene attribuito automaticamente dall’anagrafe, salvo diverse indicazioni da parte dei genitori.


E dunque anche in Italia, da oggi, verrà dato in automatico il doppio cognome e l’ordine verrà deciso dai genitori (sarà prevista anche la possibilità di dare soltanto il cognome della madre o del padre).

Su questo, si leggono già notizie e articoli che prospettano futuri “disagi psicologici” per i bambini a seguito dell’assegnazione del doppio cognome. Ebbene, se siamo consapevoli di come da sempre il nostro cognome, sia esso paterno o materno, sia portatore di storia e di valori familiari, forse l’averne due potrebbe ampliare le possibilità per una figlia o un figlio di dare seguito a rami familiari (magari quelli materni) che altrimenti potrebbero, in assenza di altre discendenze, restare interrotti, se l’unico cognome fosse quello paterno.


Anche questa volta, parliamo di fare lo sforzo di superare uno schema e guardare a questa sentenza con un’ottica di apertura verso nuove opportunità per le figlie e i figli, nel pieno rispetto del diritto alla completezza dell’identità personale e nella piena eguaglianza tra i genitori, in una famiglia in cui possa finalmente regnare il principio di parità nei diritti e nei doveri.


E su quanto ancora ci sia da lavorare su questo principio di parità, ce lo confermano le numerose polemiche legate al secondo fatto del 27 aprile 2022: l’astronauta Samantha Cristoforetti, 45 anni, che saluta i suoi due figli, di uno e cinque anni, lasciandoli alle cure del padre, per partire in missione spaziale.

Spopolano, su ogni canale mediatico, le fotografie di Samantha che manda un bacio ai suoi due bambini mentre si avvia a fare il suo lavoro. Fotografie che hanno acceso una moltitudine di commenti, molti dei quali estremamente giudicanti, circa la scelta dell’astronauta di allontanarsi per cinque mesi da casa. Commenti, questi, che oscurano la competenza e la preparazione professionale per la nuova missione spaziale e che puntano il dito verso la “madre egoista” che non sa occuparsi in modo corretto della crescita dei propri figli e che affida al padre (questo sconosciuto?) la loro cura.


A pensarci bene, se guardiamo ai fatti, anche gli uomini e i padri dovrebbero sentirsi “colpiti” da quanto accaduto, perché sembra che la società non abbia aspettative positive circa la loro capacità, nonché il loro diritto, di prendersi cura dei figli in modo autonomo e costruttivo. Ripercorrendo le varie interviste, notiamo come le domande che sono state poste a Samantha sono per la maggioranza sul tema della gestione dei figli in sua assenza e non sulla nuova missione spaziale. Domande, queste sui figli, che non ritroviamo in alcuna delle interviste fatte ai suoi colleghi astronauti uomini partiti con lei per la missione (Kjell Lindgren e Bob Hines che hanno tre figli a testa).


Samantha Cristoforetti, esattamente come tutte quelle donne che oggi lavorano e hanno deciso di essere anche madri, scende a patti con se stessa e con la gestione della quotidianità. Le donne italiane, ci dice l’Eurostat, detengono il record europeo per quanto riguarda le ore giornalmente dedicate al lavoro domestico e familiare che si aggiunge alle ore dedicate alla propria professione. Così anche gli uomini italiani detengono un record: a livello europeo sono quelli che dedicano il minor tempo al lavoro familiare.


Parlare di tempo significa parlare di un elemento prezioso, per tutti, una ricchezza universale che, come un orologio, scandisce la vita di uomini e donne che, in egual misura, hanno diritto di realizzarsi senza trovarsi, sulla base delle scelte fatte, nel circuito dei sensi di colpa e del doversi giustificare di fronte ai “a chi lasci i tuoi figli se lavori?”, “ma sei sicura di voler stare via tutti questi giorni?” oppure al “ma perché non fai figli?”.


In un’intervista a “Il Messaggero” la Cristoforetti ha dichiarato: «Ho la fortuna di avere un partner che ha sempre dimostrato di cavarsela molto bene in famiglia e di essere il punto di riferimento per i nostri due figli anche per lunghi periodi. Noi astronauti dobbiamo molto a chi ci aiuta quando siamo lontani da casa in missione o in addestramento». Una risposta che “manda in orbita” tutti i pregiudizi sulle madri e quella cultura patriarcale che vuole la donna a casa ad “accudire la cucciolata”, "arricchita" negli anni del Ventennio fascista da quella cultura che assegnava alle donne il ruolo di pure e semplici "fattrici".


E ancora, in un’altra intervista rilasciata al “Corriere” ha sottolineato, con matura consapevolezza, come sia importante preparare i bambini a quello che li aspetta: «Mia figlia è cresciuta sapendo da sempre che la mamma fa l’astronauta e un giorno tornerà nello spazio. Non so quando ha maturato una effettiva consapevolezza di questo, ma adesso credo che piano piano capisca. Chiaro: non è un fulmine a ciel sereno, deve far parte della normalità familiare. Se uno dei due genitori fa un lavoro che lo porterà a non esserci per un periodo lungo è fondamentale che sia l’altro genitore ad avere il rapporto quotidiano e più forte con i figli. E nel nostro caso è il papà. Non ho mai cercato di avere un rapporto con mia figlia per cui sarei stata indispensabile, sarebbe stato del tutto irresponsabile da parte mia».


Chi è cresciuto all’interno di una famiglia dove donne e uomini, madri e padri, hanno compiuto scelte mature e consapevoli circa il loro essere genitori e, al contempo, persone realizzate, certamente vede di Samantha la sua immagine completa di donna, professionista, madre e compagna. Ed ecco dunque l’ennesima “rumorosa” lezione italiana sulla parità di genere, che ricorda a noi donne che possiamo diventare davvero chi e ciò che desideriamo, allontanandoci dai soliti stereotipi duri a morire. Tutto questo nella speranza di poter sentire sempre più spesso la frase, pronunciata con tanta naturalezza da Samantha: «Ai miei due bambini penserà il papà», quel papà di cui i bambini, ricordiamolo, portano il cognome e non solo.







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