"Che cosa deve fare ancora Israele per essere fermato?"
- Menandro
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Aggiornamento: 2 giorni fa
di Menandro

La domanda che fa da titolo all'articolo è stata posta da un ascoltatore che stamane, 10 settembre, poco dopo le 8, ha chiamato il Filo diretto di Prima Pagina, meravigliosa trasmissione radiofonica di Radio 3. Ed è la domanda di molti, non osiamo dire tutti, ma di un numero sempre più rilevante di italiani che sono sconvolti dalla piega irreversibile, diventata piaga purulenta, che ha preso la guerra in Medio Oriente con l'estensione della sua devastante potenza e l'azione in profondità nella Striscia di Gaza.
Ieri, Israele ha lanciato i suoi missili su Doha, capitale del Qatar, uno dei Paesi che più di altri nell'ultimo anno si è impegnato nelle trattative diplomatiche tra Hamas e Tel Aviv. Il bilancio sarebbe, condizionale d'obbligo per il mistero che tendenzialmente segue a queste operazioni, indipendentemente dalle cifre dei morti (cinque, sei?), l'ennesima decapitazione dei vertici di Hamas. Lo si deduce anche dall'euforia del primo ministro d'Israele Netanyahu, che ha sintetizzato l'operazione con la sua abituale propensione a riaffermare che cosa è giusto per il suo Paese e che cosa c'è di sbagliato in ciò che fa il resto dell'umanità più in generale: è "un colpo all'asse del male". Commento che non riflette ancora l'onnipotenza di cui si sente investito il governo d'Israele, ma che quella onnipotenza immediatamente la rivela con il nome attribuito all'operazione militare: "Atzeret Ha Din", il "Giorno del Giudizio".
È l'Apocalisse biblica, dove sembra udirsi lo squillante suono delle trombe dei sette angeli, che non potrà che abbattersi cupo su tutti i nemici di Israele. Indistintamente. E, soprattutto, nell'assoluto disprezzo per le reazioni della comunità internazionale che assomigliano a tanti vagoni di un convoglio senza locomotiva, sempre fermi in stazione, inutilmente parcheggiati a differenza delle Divisioni militari di Netanyahu in costante movimento e in grado di colpire, distruggere, annientare, uccidere da qualunque luogo, in aperta e "flagrante violazione della sovranità di un altro paese", come denuncia l'impotente Segretario dell'Onu, Antonio Guterres, con un atto che nella sua mite stringatezza Papa Leone XIV definisce "molto grave".
E qui si può immaginare il Netanyahu irridente, che con atteggiamento dispotico, mitigato dall'essere il premier di una nazione democratica "votata" alla pulizia etnica, guarda i suoi generali e rivolge loro l'iconica domanda su "quanti missili ha il Papa?", versione tecnologicamente aggiornata di quella del Novecento che fu di Stalin, mentre osserva, sedotto dal sapere dei suoi scienziati, l'esplosività balistica dei suoi missili segnata sul planisfero. Missili che allungano a dismisura il loro raggio d'azione: ieri 1.800 chilometri sul Qatar, e domani? Quale nuovo record stabilirà lo Stato di Israele? Chi sventrerà a 2.500 chilometri di distanza? E poi a 5mila, 10 mila? Magari riuscirà a fare compiere al missile il giro del mondo, anche rischiando di ricadere nello stesso posto da cui è partito, se non fosse che Netanyahu, circondato da un'aura di immortalità e soprattutto di inamovibilità, non considera l'eventualità.
Ma, a questo punto, forse tutti noi dovremmo rivedere la domanda retorica dell'ascoltatore di Prima pagina e trasformarla da "che cosa deve fare ancora Israele per meritarsi l'alt dell'umanità" a "che cosa sia ancora concesso al resto all'umanità" in attesa del "Giorno del giudizio", meritoriamente guadagnato con il suo codardo silenzio. Siamo agnelli destinati al macello?
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