Caso Stellantis e memoria Fca: cui prodest l'ottimismo di facciata?
- Adriano Serafino
- 31 mag 2024
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di Adriano Serafino

Ricordando gli eventi dell’ultimo decennio per il polo torinese dell’auto (Mirafiori e polo del lusso di Grugliasco) e per il collegato settore automotive piemontese, traendone un consuntivo sui livelli occupazionale e di sviluppo industriale, rimane per me un bel mistero - anche per i miei lunghi trascorsi da sindacalista - comprendere le ragioni delle tante dichiarazioni fiduciose (governo, enti locali, i principali sindacati, i media) sul futuro del polo torinese che hanno fatto seguito alle dichiarazioni del ceo Stellantis, Carlos Tavares, per l’avvio della produzione a Mirafiori di una 500 ibrida nel 2026, ufficializzate anche con un incontro formale con le organizzazioni sindacali.[1]
Rivedendo quanto successo dall'aprile del 2010, cioè dal progetto Italia di Sergio Marchionne in poi [2], pesa ancora nelle dichiarazioni di Tavares, accompagnate dalla valutazione ottimistica del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, quel convitato di pietra che nel caso è l’assenza di un plausibile piano industriale che indichi la quantità di finanziamenti che la proprietà intende stanziare per raggiungere traguardi occupazionali e produttivi. Ciò vale a maggior ragione quando è dato per scontato, come ragionevole, il ridimensionamento in atto da anni della mega città-fabbrica che era Mirafiori nell’era fordista (un milione di auto prodotte negli anni Settanta, oltre 60 mila occupati contro i 12mila attuali).

Alcune domande
Prima di rispondere se collocarsi tra gli ottimisti, o tra i fiduciosi più o meno critici, alla "svolta ibrida" di Tavares per Mirafiori, credo sia proficuo porsi un paio di domande per verificare quale possa essere la credibilità di tale proposta, ovvero se:
· il primo azionista di Stellantis (Elkann-Exor) permane nella consolidata scelta d’investire in altri settori più profittevoli del difficile settore automotive;
· se prosegue la vendita di aziende strategiche collegate all’evoluzione della produzione auto motive come batterie e robotica;
· se l’immensa mole di cassaintegrazione e di contratti di solidarietà continua ad essere gestita come oggi, e da moltissimi anni, orfana di una strategia di aggiornamento professionale dei lavoratori come alternativa al massiccio esodo incentivato alle dimissioni e allo scivolo verso la pensione; un cammino verso la pensione accompagnato da un piano di assunzioni di giovani con la proposta ai lavoratori più anziani di lavoro a part-time e la garanzia sui contributi pensionistici.
In assenza di queste risposte come non pensare che gli “speranzosi” annunci e commenti siano davvero rassicuranti? Non è certo sufficiente dichiarare che “nessuno stabilimento sarà chiuso”, se nel contempo sono progressivamente svuotati sia di occupati e sia di prospettiva per una mobilità sostenibile, che richiede anche la progettazione e la produzione di veicoli finalizzati al riciclo e non alla mera rottamazione.
Senza queste elementari risposte, per discutere un vero piano industriale, anche le più rosee dichiarazioni d’intenti possono diventare simili a quelle che “lastricano le tante vie dell’inferno”.
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